Studenti camerieri

Lo sapevate che la Cgil ha condotto una ricerca sugli studenti lavoratori, e che la ricerca ci dice alcune cose di grande interesse? L’abbiamo presentata ieri (l’altro ieri, essendo ormai passata la mezzanotte) nella sede sindacale di Corso Italia a Roma. Si parla di studenti universitari. Intervistati con questionario, senza pretese di perfetta rappresentatività del campione (sovrarappresentate, in effetti, le facoltà scientifiche, quasi assente il polo lombardo).

Colpiscono alcuni dati. Il primo, fra tutti: degli studenti-lavoratori solo il 29 per cento ha un contratto di qualsiasi tipo. E solo il 7 per cento ha un contratto a tempo indeterminato. Insomma, il 71 per cento non ha proprio alcun tipo di contratto, neanche di tipo flessibile o precario. Il che è tanto più notevole se si pensa che quasi la metà (il 60,5 nel sud) lavora tutto l’anno. E un terzo più di otto ore al giorno. Insomma, il “nero” non dipende, come si potrebbe pensare a prima vista, da una larga prevalenza di lavori saltuari, di poche ore al giorno o stagionali. Oltre la metà (il 53) lavora inoltre da un periodo compreso tra 1 e 5 anni. E quasi il 33 per cento da un periodo superiore. In che settori lavorano questi studenti? Circa la metà nel settore della ristorazione, che sembra essere diventato il grande serbatoio del lavoro nero giovanile. Colpisce poi, a dispetto della irregolarità del rapporto di lavoro, che la grande maggioranza degli studenti dia un parere positivo sul proprio datore di lavoro. A parte la confidenza o la simpatia che può eventualmente crearsi sul luogo di lavoro, la conclusione più ovvia è che ormai lo studente si sia assuefatto all’idea di lavorare in nero, che la consideri una necessità sua e del datore di lavoro.

Dal punto di vista di chi -come me- si occupa di università, poi, la principale indicazione che se ne trae è che il salario serve in buona misura a sostenere le spese per il materiale di studio e per pagare vitto e alloggio. C’è dunque una discreta correlazione tra il fatto di lavorare e l’esigenza di mantenersi agli studi, fra l’altro svolgendo attività che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno nulla a che fare con il corso di studi seguito. E anche qui: “seguito” per modo di dire, visto che circa il 40 per cento degli studenti-lavoratori non riesce, a causa della sua condizione, a frequentare le lezioni come vorrebbe. In ogni caso (altro dato importante) più del 53 per cento lavora perché “in stato di necessità propria o della famiglia di appartenenza”. A voi, a me, ogni spunto utile per agire in meglio (fate sapere…). Alla Cgil complimenti per l’iniziativa e per la sensibilità che ha portato a realizzarla.

Leave a Reply

Next ArticleMa non c'è solo Pio Pompa. Per fortuna