Cronaca da Parigi: energia per i diritti umani

Tornato ieri sera da Parigi. Ho capito la grandeur della Francia andando all’Eliseo. Non prendetemi per provinciale, ma non c’ero mai stato. Lì c’è davvero nell’aria qualcosa che richiama antiche e grandiose dinastie, destini di gloria e di potenza nazionali: monarchici e repubblicani, indifferentemente. In Italia quest’aria si respira solo nel centro della Roma antica, e quindi è più lontana, come affievolita, svaporata. Chirac presiedeva stanco, ma con il largo sorriso permanente a tagliargli il viso in orizzontale, da perfetto padrone di casa. Barroso sorrideva con il naso luccicante sotto i riflettori. E poi le bandiere. Passandole in rassegna, ho realizzato per la prima volta, esteticamente e intellettualmente, che cosa sia l’Unione europea. Non c’era nessuna bandiera nazionale europea, né Inghilterra, né Spagna, né Italia, ecc. tranne quella della Francia ospite. Sarà sempre di più così. Senti come un vuoto della storia. Senti di perdere qualcosa e di camminare su una strada nuova che un po’ intimorisce, anche se l’hai voluta e tuttora la vuoi percorrere. I vessilli, dunque: Europa, Stati Uniti (d’America, a questo punto), Corea del Sud, Cina, India, Russia, Giappone. Prevalenza di bandiere asiatiche per il (mi dicono) più importante accordo scientifico degli ultimi decenni, la costruzione di un reattore per la fusione termonucleare. Fermato qualche anno per l’attrito Francia-Usa sulla questione irakena. Gli Usa hanno voluto la Corea (fedele alleata) per essere più forti nell’accordo. Durante le varie allocuzioni, guardavo fisso il membro del governo russo. Occhi azzurri, apparentemente gelidi. Mi domandavo, chissà perché, che rapporto potesse avere con Putin; in base a quali criteri fosse stato scelto per il governo del suo paese.

In effetti è difficile partecipare a questi incontri senza porsi il problema dei rapporti tra diplomazia, cooperazione internazionale e diritti umani e civili. Dopo avere assassinato la Politkovskaya, hanno pure cercato di uccidere con il topicida l’amico che indagava sulla sua morte. E i giornali disegnano di nuovo l’ombra di Putin, che intanto si fa fotografare sorridente con Bush, tutti e due con addosso una tunica orientale da fate turchine. Una volta potevamo parlare dei diritti umani nei paesi non occidentali (e spesso glieli schiacciavamo, da bravi occidentali che fanno sempre il bene del mondo). Ora, oltre a poterli schiacciare sempre meno, stiamo però anche perdendo la voce per difenderli sul serio, politicamente intendo. Chi ha le fonti di energia, chi ha le materie prime e ha forza economica, fa in casa sua quello che vuole. Forza dunque con le fonti di energia alternativa. Non si tratta solo di avere il pianeta più pulito e respirabile. E nemmeno di proteggere i livelli dei consumi. Si tratta di potere difendere i diritti umani ovunque senza subire ricatti materiali, senza la paura di dovere poi gettare i tuoi concittadini nel panico e nella penuria. Con questa consapevolezza nata da pochi, semplici segni, o stimoli visivi, sono tornato da Parigi. Dalla fusione termonucleare alla Politkovskaya. A tutti quelli come lei. O ai libanesi che vogliono essere liberi dalla Siria. A tutti noi, insomma. 

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