Università. Cambiamo le regole

(Europa, 25 novembre 2006) – Eppure l’università non si può schiacciare in una Finanziaria. E questa a sua volta non è solo uno specchio contabile. Vogliamo dirlo? La discussione sulla Finanziaria ha messo fuori gioco l’università del futuro, concentrando l’attenzione solo e ossessivamente sulle questioni (pur importanti) del celebre taglio dei consumi intermedi e della stabilizzazione dei precari. Il fatto è che proprio la parte sommersa della manovra, quella che non viene immediatamente tradotta in conti, ci dice una verità macroscopica, quella da cui partire. Il nostro sistema è cresciuto senza una strategia, senza ancorarsi ai valori del merito e della qualità. Peccato mortale in uno scenario sempre più modificato dalla competizione internazionale e dalla centralità della sfida sul capitale umano.  

La spia di questo processo si accende ben visibile tra gli articoli della manovra. La moratoria triennale per la nascita di nuove sedi universitarie dice che si è andati ben oltre il livello di guardia nella proliferazione di atenei senza qualità (con costi conseguenti), sotto la spinta congiunta del notabilato accademico e del notabilato politico locale. La drastica riduzione dei crediti fondati “sull’esperienza lavorativa” elargibili – in genere – ai dipendenti della pubblica amministrazione  dice a sua volta che per drogare il numero degli studenti molte università non hanno davvero guardato per il sottile. E anche il blocco delle università telematiche dice che sembra quasi che una (efficacissima) mano invisibile abbia lavorato per anni a togliere credibilità, e quindi valore legale, al titolo di studio.


Ecco, la Finanziaria è anche questo, benché lo si dimentichi spesso. Un segnale di serietà, di rigore, che vuole ricondurre il sistema universitario, anche grazie all’Agenzia di Valutazione, sotto accettabili standard di controllo di qualità. E’ vero, il rigore non può essere misurato direttamente in euro. Ma certo è, come non vederlo?, una condizione perché ogni euro inizi a essere speso meglio, in una logica di efficienza e di rispetto di obiettivi strategici.

Siamo all’abicì, ovviamente. Perché a chi voglia pensare all’università “oltre la Finanziaria” i temi che si propongono sono ben più ampi di quelli di cui si è scritto e discusso.  A nessuno, tanto per fare un esempio, sarà sfuggita la parte di vera e propria “cenerentola” riservata in questi mesi alla didattica. Che è sembrata essere quasi un accidente della vita universitaria. Ricerca, ricerca e poi ancora ricerca, con relative tenzoni sulle cifre. Ma l’università, a cui la ricerca serve come il pane, è prima di tutto formazione di studenti. Chi forma infatti le famose “teste ben fatte” di Edgar Morin? E dove si accende la scintilla della ricerca, se non dove una grande didattica suscita le passioni intellettuali che generano scienziati, animando il valore weberiano della verità scientifica? Al tempo stesso, giusto per fare un secondo esempio, è sembrata proprio non esistere la popolazione studentesca, cui pure la Finanziaria riserva attenzioni importanti sul terreno del diritto allo studio. Bisogna essere schietti. Un’università senza didattica e senza studenti: questo è il ritratto che emerge da mesi di dibattito serrato come poche altre volte sui destini del nostro sistema accademico.

E’ questa la giusta prospettiva? O non dobbiamo aprire i nostri orizzonti? Bastano alcuni titoli per capire la vastità del dibattito e dell’impegno. L’internazionalizazione della popolazione universitaria in tutte le sue componenti. Il rapporto con il territorio, con i suoi bisogni formativi, con il suo mercato del lavoro; ma anche con le sinergie che esso mette o può mettere a disposizione. La possibilità di dar vita a un sistema duale, con atenei votati alla didattica e altri più orientati alla ricerca. Il rimodellamento dei rapporti tra università, ricerca e impresa, con la difficile scommessa di integrare in questo triangolo anche il vasto e decisivo sistema delle piccole-medie imprese. Il dilemma tra abolizione del valore legale del titolo di studio e promozione di un sistema pubblico competitivo al suo interno. E molto altro ancora.

Titoli densi di implicazioni. Per questo, su di essi, domani la Margherita ha chiamato a discutere in un seminario a inviti a Bologna alcune decine di rettori, di presidi, di direttori di dipartimento. Per confrontarsi fuori dall’ufficialità, con la massima libertà di analisi e proposta. Perché davvero non ci si può fermare alla Finanziaria. Perché i paesi, sui grandi temi del governo, costruiscono il proprio futuro anche cambiando le regole e i valori di riferimento. E noi dobbiamo capire quali regole e quali valori vogliamo adottare.

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