Edda, Deaglio e il voto di aprile

Edda Boletti. Chi non l’ha mai sentita nominare sappia che è una delle più tenaci, modeste e lucide protagoniste di cui disponga da tempo la società civile italiana. Protagoniste vero, intendo. Ossia che fa e sta in prima fila nella realtà più che nelle dichiarazioni sui media. E’ stata tra le principali animatrici del Palavobis e di decine di altre occasioni di pubblica mobilitazione. Bene, Edda lunedì scorso ha riunito a Milano un po’ di persone a parlare della palude che rischia di risucchiare la politica di governo del centrosinistra; e di quel che bisogna fare perché il buon vento soffi nelle vele governative. Furio Colombo, Piero Ricca, Giancarlo Caselli, Marco Travaglio, me medesimo e un bravissimo rappresentante dei “ragazzi di Locri”. Edda, senza un rigo di appoggio dei giornali, ha fatto quel che nessun altro in questi tempi grigi e fiacchi e delusi ha saputo fare. Riempire la Camera del Lavoro di Milano, con tanta gente in piedi. Considerato che non si trattava di un partito o di un sindacato ma delle Girandole, è stato un vero, grande successo.

Per parte mia non mi aspettavo un consenso così assennato all’enunciazione di un principio non facile: che siccome esiste in democrazia (purtroppo e soprattutto per fortuna) la divisione dei poteri, io come rappresentante del governo ho il dovere di non parlare in assoluta libertà come potrei da parlamentare: delle leggi, di scelte che riguardano l’attività di altri ministeri, di vicende giudiziarie. Ho il dovere di tacere in pubblico su più cose che pure mi stanno a cuore: sia per non violare quella divisione dei poteri (violata alla grande da B., per capirsi) sia per non dare un’immagine brancaleonesca del governo. Ho piuttosto il dovere di fare bene ciò che mi viene chiesto di fare. E tutti dovremmo comportarci così per mettere alla fine il governo in grado di sommare alcune decine di “buoni risultati” ottenuti nei campi più svariati in coerenza con un progetto generale.

Più problematico (capisco l’impazienza…) è stato invece far capire un’altra cosa: che la questione degli eventuali brogli del voto di aprile va risolta attraverso procedure sulle quali non sono in grado di intervenire. Su quella vicenda ho comunque espresso la mia opinione, poi finita sul Blog di Beppe Grillo. Ora qualche blogghista mi chiede di dire la verità che so, e perché io non sia ancora andato dalla magistratura. Rispondo così. Tutta la verità che so l’ho detta alla camera del Lavoro e ancora prima su questo Blog, subito (vedi il post del 14 novembre). Parola d’onore che di più non so. E la mia proposta, che dovrebbe essere fatta propria o dalla Giunta per le elezioni del Parlamento (di cui non faccio parte) o dalla magistratura, è chiara, l’ho lanciata quel lunedì sera e poi la sera dopo direttamente al tg di La7: si prendano gli scatoloni di alcune sezioni campione, si tirino fuori le schede, si verifichi se davvero le schede bianche sono tra l’1,5 e il 2 per cento e se la percentuale è assolutamente omogenea in tutte le regioni. Se questa tesi di Deaglio dovesse uscirne confermata, si ponga il problema (grande problema), politico e giudiziario. Se no, vorrà dire che si è trattato di un abbaglio. Mi sembra l’unico modo per non sposare in modo ideologico una tesi o l’altra (il dubbio appare anche nel post). Dopodiché confermo che secondo me il fatto che Prodi e Fassino abbiano dichiarato la vittoria sulla base delle informazioni dirette che giungevano loro dalle ultime sezioni mancanti ci ha salvato da tentativi di colpi di mano.

Perché non sono andato dalla magistratura, infine? Perché dalla magistratura si va a raccontare fatti. Importanti per avviare indagini o secondari per dare più elementi per indagini già in corso. Io l’unico fatto che posso raccontare è che la sera del voto i parlamentari del centrosinistra a una certa ora furono sollecitati ad andare nelle prefetture perché c’era un’aria non convincente che gravava sui risultati del voto. Ma questo fatto è già finito sui giornali più volte. Il resto sono opinioni libere che credo di essermi formato con realismo, intuito e lasciando un varco aperto al dubbio. Ma i magistrati chiedono i fatti, e insistono perché a quelli ci si attenga. E solo sull’interpretazione dei fatti possono chiedere opinioni che aiutino a capire. Vi immaginate se su ogni delitto (in questo caso un delitto supposto) dovessimo presentarci ai palazzi di Giustizia per esprimere le nostre opinioni? In ogni caso io son qui. Se sarò chiamato, dirò quello che penso. E ribadirò l’unico fatto (già pubblico) di cui sono stato testimone. 

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