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Nebbia sull’Antimafia
(l’Unità, 1 dicembre 2006) – Commissione Antimafia morta o viva? Personalmente ho espresso su queste pagine (e non certo con piacere) la convinzione che le sia stato assestato il colpo di grazia con l’iscrizione a suoi membri effettivi diAlfredo Vito e di Paolo Cirino Pomicino, entrambi condannati in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione. Ed entrambi simboli di un’idea dei rapporti tra legalità e politica che li ha fatti entrare nei libri di storia (vedi Francesco Barbagallo, Napoli fine Novecento, Einaudi). Ho argomentato le ragioni di questa mia opinione. Che poteva essere confutata in molti modi. E tuttavia il modo in cui l’hanno fatto il neopresidente della Commissione Francesco Forgione (intervista al "Corriere" del 23 novembre) e il suo compagno di partito Giusto Catania, europarlamentare di Rifondazione (articolo sull’ "Unità" del 27 novembre) è francamente sconcertante. E fa pensare. E molto.
Riassumo. Io ho posto solo il problema della Commissione, senza fare alcun riferimento al suo nuovo presidente, e senza sognarmi di dire una sola parola nei suoi confronti. Ho offerto valutazioni oggettive. Soprattutto queste: il prestigio della Commissione; la sua credibilità presso i rappresentanti dello Stato che saranno chiamati a raccontare di inchieste ancora in corso o di verità da secretare (chi sarà davvero disposto a dire alla Commissione tutto quello che sa?). Questo giudizio può indirettamente riflettersi sul lavoro di Forgione, mio amico da anni? Sì. Ma, come dicevano i latini, "amicus Plato sed magis amica veritas". Ma soprattutto esso non giustifica la reazione di Forgione e Catania. Che parlano come se fosse stato attaccato il presidente dell’Antimafia. Ossia fingendo che sia accaduto qualcosa che non è accaduto. E da lì partendo per mettere a segno degli affondi altrettanto immaginari. Che cosa dice Forgione? Provo a sintetizzare, spero con il dovuto scrupolo. 1) Qui sta tornando la stagione dei veleni. 2) La morte dell’Antimafia viene dichiarata proprio da chi ha strillato perché si rifacesse la Commissione nel più breve tempo possibile. 3) AncheDalla Chiesa è stato in Commissione con dei condannati; eppure a suo tempo non ha fiatato. 4) E’ chiusa la stagione dei giustizialismi, la mafia si combatte politicamente.
A lui si è aggiunto Catania. Che, sempre fingendo che sia stato Forgione l’oggetto della critica, ha aggiunto: 5) non è vero che il movimento antimafia è finito con il rifiuto di votare il celebre emendamento Licandro-Napoli (quello che tendeva a escludere per legge dalla Commissione chi avesse avuto relazioni con la mafia); 6) nessuno può impedire che CirinoPomicino e Vito partecipino alla commissione antimafia; 7) nessuno si è indignato a suo tempo per la candidatura di Cirino Pomicino e Vito , tranne Forgione e Bertinotti, protagonisti di un convegno in cui il procuratore Grasso (Grasso, non altri; nda) chiedeva di escludere dalle liste i condannati che avessero rapporti con la mafia. Per ribadire poi anche lui, Catania, che la lotta alla mafia non si può fare solo nei tribunali. E che è arrivata l’ora di chiamare in causa la politica. Infine l’eurodeputato ha lanciato alla sinistra l’accusa di amnesia, chiudendo con la sentenza del Perfetto Garantista. Leggere bene: “E’ strano che solo ora si decreti la fine dell’antimafia, proprio adesso che una delle poche voci udite in mezzo al deserto di questi anni è diventato Presidente della Commissione Antimafia. La coincidenza è un po’ sospetta e il tono del dibattito di questi giorni evoca la stagione in cui si polemizzava con i professionisti dell’antimafia”. Alla faccia dei “veleni” evocati da Forgione…
Bene. Ora: che c’entra tutto questo con gli argomenti che ho sollevato? Nulla, proprio nulla. Nessuno mi sta dimostrando che ora la Commissione ha un prestigio che le consentirà di ottenere ciò per cui è stata istituita come Commissione d’inchiesta con gli stessi poteri della magistratura: ossia informazioni riservate, segrete (giudiziarie e non) da parte di chi farà piuttosto qualche responsabile valutazione su come proteggere le sue inchieste (e in qualche caso la sua persona). La reazione di Forgione e Catania è pura cortina fumogena. Che non depone per lo spirito di verità che aleggia sulla Commissione. E spiego perché. 1) Non ho mai chiesto la ricostruzione a tambur battente della Commissione. Invitato a esprimermi sulla sua utilità, ho scritto piuttosto un editoriale su “Europa ” per dire che era il caso di dare al parlamento un’ultima chance. Senza alcun entusiasmo. Esattamente perché ho visto di persona nell’ultima legislatura gli uomini in divisa farsi prudenti di fronte a una commissione poco credibile e che strumentalizza la sua funzione. La politica (non la giustizia) ha scelto ora di renderla ancora meno credibile (per le presenze, non per la presidenza). E dunque confermo quello che dissi proprio in commissione, in una quasi drammatica discussione sulla Relazione finale nel gennaio del 2006: questa Commissione sta diventando inutile, perfino dannosa; se continua così farà la fine della Commissione Stragi. Giusta o sbagliata che fosse la valutazione, essa sta scritta negli atti parlamentari. Altro che incoerenza…
2) Quanto alla teoria che nessuno abbia detto niente, che nessuno abbia fatto niente, che nessuno si sia scandalizzato e dunque abbia diritto di parola di fronte a CirinoPomicino e Vito nominati in Antimafia dai presidenti delle Camere, ricordo la proposta di legge che la Margherita presentò al Senato la scorsa legislatura per evitare la candidatura dei condannati per reati contro la pubblica amministrazione (semplice applicazione al parlamento della legge già esistente per gli enti locali). Legge che non fu semplicemente presentata e lasciata nel cassetto; ma fu portata al voto, perdendo. Ora chi è in parlamento la ripresenti, ci sono i numeri per vincere.
Il movimento antimafia – che non capisco perché secondo Giusto Catania dovrebbe mai coincidere con una Commissione siffatta – non morirà comunque per questo. Anche perché, se qualcuno non se ne è accorto o soffre di amnesia profonda, è da almeno venticinque anni che la lotta alla mafia viene fatta pure nelle scuole, nei quartieri, nelle parrocchie,nella stampa alternativa, attraverso il sindacato, nelle università, con i circoli e le associazioni. E’ arrivato il momento di dirlo: questa pantomima per cui ogni volta c’è il politico di turno che si staglia davanti a chi denuncia le debolezze della politica e gli predica che la lotta dev’essere non giudiziaria ma politica (che è esattamente quello che si chiede!), incomincia a diventare un piccolo sconcio del nostro spirito pubblico. Sui “veleni” non rispondo nemmeno. Nando dalla Chiesa come Pio Pompa o come il celebre “corvo” di Palermo è roba da lasciare a futura memoria.
A proposito di amnesie voglio invece ricordare un episodio del 1973. E tirare fuori dagli archivi il caso Matta. Giovanni Matta, democristiano, ex assessore all’urbanistica e ai lavori pubblici di Palermo, simboleggiava un po’ il parlamentare che non doveva entrare in Commissione Antimafia. Invece ci entrò. Era assai chiacchierato, a suo carico c’era anche un rapporto dell’allora colonnelloCarlo Alberto dalla Chiesa. Pio La Torre, benché Matta fosse incensurato, ne chiese l’allontanamento. Matta chiese la solidarietà della Dc. Ma Pio La Torre insisté, con la sua durezza cristallina. Alla fine, data la valenza simbolica del caso, tutti i membri della Commissione (tranne i missini) diedero le dimissioni. Compreso il presidente Luigi Carraro , che era dello stesso partito di Matta. E la commissione venne rifatta. E questa volta Matta non c’era più. Così era la Commissione allora, così gli uomini. E davanti a quella Commissione (che magari, è vero, non aveva il coraggio di scrivere tutto quello che sapeva) gli ufficiali dei carabinieri e i commissari di polizia si sentivano incoraggiati a raccontare anche le loro “impressioni”. Trent’anni fa, prima delle stragi, prima di Falcone e Borsellino. Santa memoria.
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