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Simone Veil. Il bello del francese
Oggi me lo dico dieci volte di più. Che è successo? E’ successo che stamattina sono andato all’università di Cassino per intervenire alla cerimonia di conferimento della laurea ad honorem a Simone Veil. Una scelta che fa onore a tutto il nostro sistema universitario; e che contrasta con la tendenza (a cui vogliamo mettere un freno) di rilasciare lauree ad honorem come noccioline, elargendole a personaggi che hanno o il merito della notorietà (che per un giorno viene trasferita anche sul rettore di turno) o quello di avere finanziato l’università medesima. Simone Veil è una delle più grandi donne dell’Europa del dopoguerra. Testimone pacata e profondissima degli orrori di Auschwitz. Giurista e magistrato. Espressione della grande costruzione europea, presidente del primo parlamento europeo eletto a suffragio popolare. Esponente del movimento di liberazione della donna, autrice della legge francese sull’interruzione volontaria della gravidanza. E tante altre cose. Ammiro questa donna da anni. Be’, ho chiuso la cerimonia spiegando perché. E credo di averlo saputo fare. Ma poi, di fronte al suo viso radioso e che le assegna assai meno dei suoi quasi ottant’anni, sono rimasto come un baccalà. Avrei voluto parlare con lei, ascoltare qualche sua riflessione (non dico le memorie), e invece ho detto qualche piccola frase, passata per la traduzione di un garbato signore che le stava accanto. E basta. Sicché, dopo che ci siamo concessi reciproci sorrisi, ho preferito allontanarmi malinconicamente. Ma si può buttar via un’occasione del genere? Assurdo, semplicemente assurdo. Le lingue, le lingue. Riflessioni a gogo e scontate (ma vere!) sulle trecento parole di don Milani, sugli stranieri in Italia, e il fiero proposito che ora si cambia. Chi ha da consigliare metodi o manuali felicemente sperimentati (visto che non posso andarmene un mese a Parigi per la classica immersione full time), sia gentile, consigli.
Nando
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