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Donne che pensano alle donne
Ieri abbiamo fatto la presentazione delle “Ribelli” al ministero della (Pubblica) Istruzione. Devo dire che, senza sottovalutare altri particolari importanti, la cosa che più mi ha impressionato è stato il colpo d’occhio sul pubblico. Circa i quattro quinti era composto da donne, la parte alla mia sinistra interamente da donne (tranne Willer Bordon). Si dirà che è normale. In fondo il libro parla di donne e il ministero della scuola è quasi per definizione femminile, vista la composizione del corpo insegnante. Eppure io ho colto qualcosa di più, di più profondo, in quel pubblico così inusuale. Posso sbagliarmi, ma ho percepito il senso di una consapevolezza storica, quasi una voglia di provare a riflettersi nella vicenda collettiva (ma quanto individuale!) di chi ha dovuto lottare di più e nei contesti più duri e ostili per affermare i propri diritti più sacri. Quasi una voglia di rivedere attraverso i segni di quella vicenda il proprio percorso di liberazione. Di ristudiarsi in una prospettiva più grande, più tragica, anche per misurare la strada percorsa, per dire a se stesse che il cammino è stato tanto, che non è stato inutile; anche se ogni tanto vien da pensarlo, vedendo -nell’epoca della “parità”- quella ritualità di tette e sederi traboccanti in tivù come promessa subliminale (e a volte concreta) di merce per maschi.
Ho colto questo desiderio carsico anche nelle parole di Barbara Pollastrini, di Chiara Acciarini e di Mariangela Bastico, la viceministro dell’Istruzione, che man mano si interrogavano su quelle storie che non conoscevano o di cui avevano ricevuto solo echi lontani, e che cercavano visibilmente di riportare davanti a loro, di avvicinare meglio.
Ovviamente si è parlato molto della funzione civile della scuola, in cui molte delle protagoniste delle “Ribelli” hanno cercato di dare un senso più compiuto alla propria domanda di giustizia, incontrando senza sosta le nuovissime generazioni. Ma su questo e sui meriti degli insegnanti ho già detto tante volte su questo Blog. Cambierei solo le parole o addirittura la loro combinazione. Per questa volta evito.
Nando
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