Giudici di Cassazione. Il futuro è dietro l’angolo

Dopo il risveglio andrò a Como e poi a Lecco. Visite alle sedi universitarie. Ascolto attento (ci provo) di università e imprese. Dibattito serale sul partito democratico, a cui bisogna somministrare dosi consistenti di vitamine. Quindi vagone letto per Roma, se no con l’aereo di martedì rischio di arrivare tardi. Intanto mi rigira come un ossessione nella mente questo nome: Arturo Cortese. Sì, Arturo Cortese. Non è l’ultimo acquisto dell’Inter, e neanche un filosofo della complessità. E’ invece il relatore della sentenza Previti-Sme in Cassazione e fa bene Giuseppe D’Avanzo a ricordarcelo su Repubblica di oggi. Arturo Cortese. Cerco di fissarmelo in mente perché ha già deciso in modo assai originale a favore di B. a proposito di una imputazione di corruzione della Guardia di Finanza. Due volte ha schierato la giustizia da quella parte in modo un po’ strambo (opinione personale, certo, ma condivisa da molti). Ho maturato nel tempo un certo fiuto. E vorrei ricordare questo nome quando ci saranno forniti gli organigrammi futuri della Corte o quando tra un po’ di anni avremo notizie sui destini realizzati degli attuali giudici della Corte. Per riconoscere il nome con fare giulivo e puntare l’indice su una riga di un foglio di carta dicendo con gioia: eccolo, è lui, è proprio lui, guarda chi si rivede! Ah, come girano le sorti del mondo…

Intanto ho parlato con un altro giudice di Cassazione, Giuliano Turone. Un magistrato a cui dobbiamo tanto. L’inchiesta sulla P2 con Gherardo Colombo, anzitutto. E la teoria del terzo livello dei delitti mafiosi, scritta con Falcone. Mi sembra di avere capito che Turone se ne andrà dalla magistratura, che ha scelto di dedicarsi all’insegnamento universitario. In Cassazione in un anno ha scritto seicento sentenze quando nei paesi civili un giudice della Corte Suprema ne scrive al massimo quaranta. Seicento sentenze su piccole cose, perché da noi tutto arriva in Cassazione. Una piccola causa, un ricorso di un detenuto. Perché c’è un esercito di avvocati che tiene in ostaggio i tempi della giustizia e non vuole abbreviarli se no il lavoro si ridurrebbe e i mediocri finirebbero fuori mercato. Ho provato un certo senso di malinconica sconfitta perché un Giuliano Turone fuori dalla magistratura non riesco a immaginarlo (e spero che ci ripensi, così come spero di avere sbagliato a capire). Ma ho specialmente provato rabbia per questo conflitto d’interessi che non viene quasi mai denunciato. Perché poi nelle commissioni Giustizia a fare le leggi ci sono soprattutto loro, gli avvocati. E il lavoro non se lo tolgono davvero. Anche se la giustizia va a remengo. Amici miei, la verità è che il signor B. non è per nulla solo.

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