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Auguri al ciclostile
Devo confessarvi un segreto. Mica importante. Ma sfizioso forse sì. L’ultimo giorno di lavoro l’ho passato a firmare circa mille cartoncini di auguri istituzionali. Ho allestito una specie di catena di montaggio in ufficio e io ero il penultimo passaggio prima dell’imbustamento. Con la mia penna a biro da battaglia, trofeo di qualche recente convegno presso una fondazione bancaria. Li firma tutti lei? Sì, li firmo tutti io. Facile a dirsi, abbiamo fatto notte fonda con Paoletta. Ma ce l’ho fatta, firmando pacchi di cartoncini anche in auto, mentre andavo nella periferia romana a una (bellissima) presentazione delle Ribelli. Non solo. Dove l’amicizia o la deferenza per gli anziani richiedevano qualcosa in più, una parola, una frase, ce l’ho messa.
A questo punto si sarà capito che non sopporto gli auguri al ciclostile, quelli che imperversano da anni e di cui non riesco a capire le ragioni. Sms uguali per centinaia di persone, senza un aggiustamento, un nome, un riferimento al fatto che il giorno prima ti sia nato un figlio o morta la mamma o tu sia stato operato d’urgenza o ti sia laureato. Tutti uguali, magari da chi condanna in ogni discorso il consumismo o “questa società che ci riduce a numeri”. Appunto, numeri di telefono. Ai quali inviare le stesse identiche parole. Con una villania sfrontata (perché inconsapevole) in quello che vorrebbe essere un atto di gentilezza per antonomasia. Che cosa di più gentile, in fondo, del fare gli auguri per la festa più spirituale dell’anno? Bene, siamo riusciti a fare diventare un atto di villania anche quello. Io sono sempre combattuto se cancellare il messaggio, fare sdegnosamente finta di non averlo visto, o rispondere con una frase personalizzata, illudendomi che chi è dall’altra parte capisca. Mia moglie Emilia dice che non riesco a togliermi di dosso la veste del “professore” e può darsi che abbia ragione. Ma a me l’augurio ciclostilato mi indispone. Arrivano biglietti d’auguri che costano a tutti (o come contribuenti o come consumatori) di aziende pubbliche e private senza neanche un nome, o solo con un biglietto da visita. Che utilità hanno? Che relazione stabiliscono? Magari il biglietto da visita è quello di un amico. Ma scusa, non lo guardi l’elenco dei destinatari? Non ci metti un asterisco sui nomi con cui hai qualche rapporto umano, per dire “questi no, questi li firmo io”?
Oppure arrivano firme che sono sgorbi (fatti da chissà chi…) e tu resti lì come uno scemo perché vorresti ringraziare, e invece non capisci proprio chi possa averti scritto (si fa per dire). Il bello è che i signori in questione qualche senso di colpa devono pure averlo sviluppato. Perché ora si usano dei sistemi raffinati per fare sembrare autografa la firma ciclostilata. Ad esempio avendo cura che la firma sia di colore diverso da quello degli auguri. Naturalmente si nota subito. Ma dico io: che ti costa optare tra le seguenti soluzioni? 1) Non mandare gli auguri a nessuno, spiegando che il Natale è diventato una festa troppo materiale e che tu non vuoi concorrere al suo snaturamento; 2) mandare pochi auguri, solo alle persone più care, e rispondere agli auguri che ricevi, giusto per educazione; 3) mandare gli auguri a tante persone, perché pensi che per Natale sia giusto rinsaldare i rapporti di amicizia, in definitiva c’è anche l’augurio per l’anno nuovo, e allora mettere in bilancio una apposita giornata di lavoro. Ma, appunto, l’amicizia presuppone un’attenzione, anche piccola, verso l’altro; l’amicizia non è neutralità affettiva.
Per questo quando mi ha telefonato sul cellulare la segretaria di un deputato amico per chiedermi il mio indirizzo e-mail, le ho risposto che se era per gli auguri poteva non disturbarsi. Gradivo già il pensiero, sia pure arrivato attraverso la segretaria. Perché sciuparlo poi con una mail uguale per tutti mandata a centinaia di persone? (P.S. certo è curioso, e a suo modo simbolico: usare quanto di più personale ci sia, cioè il cellulare riservato con cui raggiungi un essere umano mentre corre per prendere il treno o mentre mangia o mentre fa la pipì, per potergli mandare la cosa più impersonale… che epoca, ragazzi…).Nando
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