Quelle di “mezzocielo”. Il bello, il brutto e i miei amici

La casa in cui sono ospite è nel centro storico di Palermo, verso piazza Marina. E il centro storico  oggi è un’entità strana, che sembra lì lì per trasformarsi, vicoli che potrebbero diventare preziosi in mezzo a barocchi abbandonati ma magnifici. Non c’è bisogno di sventrare, tranne alcuni edifici (i più nuovi) che fanno veramente schifo. La ristrutturazione ormai è diventata un’arte e il dedalo di viuzze che ruota dietro il Foro Italico è potenzialmente una meraviglia urbana, diversamente dai dedali napoletani che portano impressi il segno delle loro funzioni originarie e possono essere solo addolciti e “civilizzati” (nel senso delle pratiche e dei servizi civili). Ma per fare le meraviglie bisogna avere il senso di ciò che è bello e ciò che è orribile. Bella, bellissima, per esempio, è l’intuizione di fare del Foro Italico un grande,lungo terrazzo sul mare per i cittadini. E di mettere prato e palme dove prima c’erano i rifiuti con le giostre e i campi nomadi e centinaia di baracche per il commercio ambulante. Era assurdo che Palermo, città di mare, non avesse una sua passeggiata sul mare e che la gente, per farla, dovesse andarsene a Mondello. Ma, appunto, qui viene il brutto, l’osceno. Ossia i birilli colorati che delimitano il prato verso la strada e soprattutto le panchine su cui sedersi per contemplare il mare. Bisogna sapere, infatti, che le panchine sono concepite come materassini da spiaggia, con finto cuscino verso il mare e colori a quadretti da bambini in colonia distribuiti sul finto materassino. Una cosa sconvolgente solo a pensare che c’è qualcuno che ha disegnato quegli orrori e qualcuno che li ha scelti (si presume tra altre proposte) e qualcuno che li ha approvati e qualcuno che li ha inaugurati senza darsi alla fuga alla sola vista. Sarà anche per questo che a Palermo circola con molto seguito la tesi che solo Leoluca Orlando può riportare la città sulla strada della qualità urbana, già intrapresa a piene dosi durante i suoi mandati da sindaco. Anche quelli di destra ormai vedono la sporcizia o il traffico e dicono “ci vuole Orlando” proprio mentre in ogni angolo spicca l‘autopromozione della città fatta dall‘attuale (e mondanissimo) sindaco Cammarata.

Il declino rispetto alla passata amministrativa, e la rapidità del declino, vengono denunciate su una bella rivista bimestrale di “politica, cultura e ambiente” “pensata e realizzata da donne”. Si chiama -e questo non è forse troppo originale- “mezzocielo”. Foto di Letizia Battaglia e di sua figlia Shobha, artiste con pochi pari nel loro genere. In redazione Simona Mafai, Beatrice Monroy, Leontine Regine e altre donne di varie generazioni, a testimonianza della ricchezza della presenza femminile in questa città. Una presenza che suona radicale diversità culturale nell’editoriale dell‘ultimo numero. in cui trovate uno splendido spruzzo di sarcasmo verso chi vorrebbe “battere i pugni sul tavolo nei confronti del governo Prodi per l’assenza di ministri siciliani nell’Esecutivo”. Commenta “mezzocielo” che “nessuno in Sicilia ha pianto per questo”. Donne di varie generazioni, dicevo. Già, tra loro anche Stefania Savoia (nessuna parentela, per carità; repubblicana dichiarata), che mi ha regalato una copia della rivista. Stefania l’ho conosciuta quando è nata e ora me la ritrovo inchiocciata tra le donne più note della sinistra palermitana, valente studiosa di letteratura latinoamericana. Così è. Ogni tanto è giusto riprendere le misure al tempo che avanza (non sempre col “nuovo“). Mi ha fatto piacere, sempre a proposito di generazioni, constatare che l’unica firma maschile di “mezzocielo” -almeno sull’ultimo numero- è quella di Enzo Guarrasi, grande studioso di tradizioni popolari e antropologia urbana e altro ancora. Enzo è un mio carissimo amico dai tempi della terza liceo. Testimonianza vivente di quello che mi predicava mio nonno materno: i veri amici sono quelli dei banchi di scuola (e del pensionato Bocconi, aggiungo io; più qualcun altro ancora). Vedrò Enzo tra qualche ora, insieme a un altro compagno di quella classe, Pietro Palumbo, che oggi insegna filosofia a Verona. Quel che mi colpisce è come ci si possa riincontrare anche dopo molti anni con la massima tranquillità, sapendo che l’altro non è cambiato, o che casomai ha condiviso i tuoi stessi cambiamenti. E che gli puoi raccontare tutto, ma proprio tutto, sapendo che ti capirà e non ti tradirà. Non è un pensiero molto originale, ma è gran cosa l’amicizia.     

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