Ringhio libero. La gggente e la tivù

Et voila, il primo post del 2007. Questa volta il ritardo è voluto. Ci tenevo che il maggior numero possibile di amici trovasse subito gli auguri aprendo il Blog. Ora però occorre aggiornare. Ed eccovi dunque la riflessione che ho fatto oggi dopo avere partecipato a una trasmissione di una rete televisiva (Italia 7 Gold) che ha sede ad Assago, appena fuori Milano, ma che viene vista un po’ in tutto il nord-ovest. Orario, 8-9,15. Ci sono andato beandomi del cielo da presepe che c’era prima dell’alba (succede anche a Milano, una decine di volte all’anno) e gustandomi la luna piena come un pallone che galleggiava sulle villette a schiera verso il Forum di Assago. In studio, una giornalista forse un po’ inesperta di politica, ma brava e corretta. Domande su tutto: ticket, riduzione del deficit, Bulgaria e Romania nell’Unione europea, campi rom ecc. Il tutto infiorato dalle classiche telefonate dei telespettatori. E qui sta il punto. Posso dire che il genere sta diventando loffio e perfino mortificante per la politica? Lo schema è sempre lo stesso. In genere telefonano quelli della parte avversa, che ti dicono che sei comunista e che non puoi parlare perché guadagni tanto (cosa che non dicono a un ambasciatore, a un magistrato, a un giornalista o a un dirigente di azienda municipalizzata; e soprattutto non dicono a un politico della loro parte). Che fanno finta di non ricordare il tuo cognome per umiliarti (Fede fa scuola). Che ti danno dell’incapace. Al riparo dell’anonimato. Sono Michele della provincia di Asti. Sono Roberta della provincia di Milano. Ma pensa te…

Ora io capisco che il politico ha oneri e onori. Per questo non la faccio lunga se prendo fischi a un comizio di piazza o i gestacci da chi passa in auto o gli insulti al volo, a volte dalle facce meno intelligenti del creato. E per questo metto l’apparizione televisiva come una tassa da pagare al piacere di fare politica. Esisti infatti se la gente ti ha visto in televisione. Quello che dici non importa. Devono vederti, tra uno zapping e l’altro. Però c’è un limite a tutto. Il dialogo dove tu sei educato perché sei politico e l’altro è villano perché fa la parte del cittadino che ha “ben ragione” di avercela con i politici, ecco quel “dialogo” ora lo rifiuto. Per dignità. Per rispetto di me stesso, che pure sono abituato ad ascoltare. Così oggi sono stato meno aggraziato. E all’ennesimo affacciarsi del finto “apolitico” che mi dava praticamente del cretino parassita l’ho interrotto per chiedergli se voleva farmi una domanda o insultarmi. Nel qual caso non ero disposto a fare il suo punching-ball. Ho notato che gli spettatori sono stati un po’ presi in contropiede, a partire dal diretto interessato. La mia reazione è stata richiamata un paio di volte. D’altronde chi si fa verme lo calpestano, dice un proverbio. E la demagogia sta anche nell’accettare la maleducazione come un diritto del cittadino qualunque. Dopodiché c’è pure una questione giornalistica. Mi sono convinto definitivamente che questi interventi (la ggente…) abbassano quasi sempre, e penosamente, il livello della trasmissione. Che potrebbe essere molto più alto se a fianco ti venisse messa una persona qualunque che ti espone i suoi problemi materiali e ti chiede che risposte hai, tu o il tuo governo. Con civiltà, magari anche risentita (acuminato oggi l’intervento di una ex emigrata), ma con civiltà. E mettendoti sul piatto il peso delle questioni materiali di ogni giorno. E dei banchi di prova effettivi dei nostri valori.

D’altronde, ci avete mai fatto caso a che cosa succede quando ai dibattiti iniziano gli interventi in libertà dal pubblico? Avete notato che nel 90 per cento dei casi, proprio quando tutto dovrebbe movimentarsi, le sale si svuotano, ossia che il giudizio di noiosità viene dato non dai relatori ma dallo stesso pubblico che assiste? Cambiare, cambiare. O non ci libereremo mai più della sensazionale abbinata di questi ultimi vent’anni: livello alla Pazzaglia e ringhio libero.

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