Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
L’outing di Francesco. Ovvero la Super-Bufala del Corriere
Oh, finalmente sappiamo chi era il capo supremo del regime totalitario che attentò alla libertà di opinione di Sciascia e di Ostellino e di tutto il Corriere negli anni ottanta. Finalmente sappiamo chi c’era alla testa della Spectre dell’antimafia che compresse le libertà degli italiani e che -se non ci fossero state le trincee di via Solferino- avrebbe conculcato il loro diritto di esercitare la ragione, di praticare la virtù liberale del dubbio. Ha confessato su Repubblica di oggi: sono stato io, ha detto, l’autore del Crimine. Sono stato io a scrivere il comunicato del coordinamento antimafia in cui Sciascia fu definito un quaquaraqua. Si chiama Francesco Petruzzella. Allora aveva ventiquattro anni ed era studente in legge. Lo avevo sempre detto a chi presentava il coordinamento antimafia come una potente concentrazione di magistrati, questori, parlamentari di opposizione, avvocati, giornalisti e intellettuali, con ramificazioni ovunque. Guardate, dicevo, che erano cittadini comuni. Senza volerli offendere, erano dei poveri disgraziati che avevano scelto di combattere la mafia senza passare per i partiti. Mi ricordo Alina, la sorella di Francesco, con me al Palasport di Bologna che tremava come una foglia prima di prendere la parola di fronte a diecimila ragazzi. Studentessa di liceo. Era questo il coordinamento.
Ecco, se Dio vuole oggi è stata smascherata una delle più grandi bufale del secolo scorso. Ecco il potere titanico contro cui dovettero battersi indomiti Sciascia e il Corriere, ecco il grumo totalitario che infettava la nostra gracile democrazia: Francesco Petruzzella, sconosciuto studente in legge. Roba da pazzi. Francesco contro il primo quotidiano e il più influente scrittore italiano, con il loro corteo di partiti e giornali di complemento. E su questo scontro epocale hanno imbastito una polemica sulla libertà, sul totalitarismo, sull’anticonformismo che vorrebbero perpetuare ancora adesso. Per gloriarsi di avergli resistito da soli, coraggiosissimi maestri di pensiero, quando a essere isolati erano i poveri diavoli del coordinamento, che vennero perfino schedati dal Giornale di Sicilia senza che i giornali “liberali” spendessero una parola. Mai bufala fu più clamorosa. Anche se sotto la bufala c’è “una storia semplice” (per usare un titolo dell’ultimo Sciascia); che la bufala ha proprio la funzione di fare dimenticare.
La storia semplice è questa. Un giorno un giudice venne promosso a una carica superiore con la motivazione che aveva conquistato meriti importanti nella lotta alla mafia. Il rivale di quel giudice, ossia un altro giudice che aspirava alla stessa carica superiore, fece avere gli incartamenti a Leonardo Sciascia, dicendo: ohibò, ma da quando in qua in Sicilia si usano questi argomenti per promuovere un magistrato? Sciascia gli diede ragione e scrisse il famoso articolo. E deprecò le carriere facili anziché le vite difficili dei giudici antimafia. Fine della storia. O meglio: fine provvisoria. Poi il giudice finì la sua carriera facile saltando in aria. E questa fu la fine definitiva. Per sfortuna del Corriere. Dove la ferita deve ancora sanguinare -e molto- (come mi ha detto stamattina un noto giornalista) se vi si fanno le cose più disperate per avere ragione a vent’anni di distanza. Come l’intervista di oggi a Tano Grasso. Utile solo per piazzare in prima pagina un titolo truffaldino sulle ragioni di Sciascia. E per ripetere il ritornello che Sciascia colse “un problema reale”. Volete sapere quale? Quale problema egli colse con tanta, rara acutezza? Quello della retorica antimafiosa. Cioè un problema che i Petruzzella di allora coglievano già per i fatti loro senza bisogno di essere intellettuali, tant’è che si guardavano bene dall’ invitare nelle scuole i tromboni con scorta e che non rischiavano un’unghia.
Vedete come da una storia semplice possa nascere una storia surreale. Tutto questo, bisogna riconoscerlo, è molto pirandelliano. Oserei dire molto sciasciano.
Nando
Next ArticleSciascia-Borsellino. Il ricordo di un poliziotto