Sciascia-Borsellino. Fumogeni e realtà

Quello sotto è il pezzo che ho scritto per l’Unità di oggi in risposta alle critiche del parlamentare diessino Umberto Ranieri sulla polemica Sciascia-Borsellino. Con l’occasione ho replicato brevemente anche a Ostellino (Corriere) e Macaluso (Riformista). Quello che davvero non capisco in questa polemica è perché debbano far tutti finta che tu abbia detto una cosa diversa da quella che hai detto, fino a metterti tra virgolette parole non tue. Ma il garantismo, proprio come cultura, non inizia con l’attenersi alla verità dei fatti? 


Mi scuso se inizio la risposta con una domanda: ma quando si usano le virgolette non si dovrebbe riportare ciò che ha detto testualmente la persona con cui si polemizza? Dove mai ho scritto che i direttori dei giornali, tra cui il Chiaromonte direttore dell’Unità nell’87, erano “avvinti in complicità aperte” (“evidentemente con la mafia” aggiunge addirittura Ranieri)? Ho scritto altro. Che pochi, pochissimi, criticarono Sciascia per quel famoso articolo. E che Sciascia non fu affatto solo, come si pretende: abbandonato nel suo anticonformismo, maestro di pensiero fino al martirio morale. Che con lui stettero invece “tutti i partiti, tutti i sindacati e tutti i direttori di giornale (Scalfari escluso)”. Non perché fossero complici della mafia (a che scopo seminare queste assurdità?). Ma perché a quella posizione li portarono distinte ragioni, che alla fine realizzarono “un intreccio surreale” che univa (eccole qui, le distinte ragioni) “complicità aperte, omertà di partito, bisogno di una legalità ‘ben temperata’, rispetto sacro per il maestro di pensiero, diffidenze verso i pool di magistrati nate nei processi al terrorismo”. Questi furono cioè gli atteggiamenti culturali o politici che si saldarono tra loro. E chi visse quell’epoca è in grado di riconoscere tranquillamente in ognuno di essi aree di pensiero, interessi, volti e storie, spesso conflittuali ma, appunto, intrecciate nella difesa di Sciascia.

L’Unità di allora fu messa in imbarazzo, ovviamente, non perché concedesse qualcosa alla mafia. Ricordo sommessamente a Ranieri, che non è tenuto a ricordarlo, che io con quell’Unità collaboravo, già dai tempi di Macaluso (e ne ho riconoscenza), e che certo non l’avrei fatto se l’avessi ritenuto un quotidiano anche indirettamente “complice”. Il Pci di allora, specie quello siciliano e meridionale, aveva -questo è il punto- un rispetto sacro di Sciascia, per i meriti che lo scrittore si era conquistato sul campo nei decenni. E non se la sentì di criticarlo. Ricordo Emanuele Macaluso tentare una quadratura del cerchio tra l’appoggio sempre dato ai giudici siciliani e il rispetto per l’intellettuale. Sciascia ha fatto una polemica giusta, disse (vado a memoria, perciò non uso le virgolette), ma ha sbagliato l’obiettivo, ossia Borsellino. Il guaio è che la polemica era nata proprio contro Borsellino, prendendo le mosse dal suo avanzamento di carriera. Che c’entra tutto questo con la riconosciuta bravura con cui Chiaromonte condusse la commissione Antimafia? E perché dire che non avrei usato parole di dissenso verso il comunicato stampa dei senza-potere del coordinamento Antimafia di Palermo? Non basta avere parlato di comunicato “furente”, “improvvido” e di “parole assurde”? 

Quanto al rammarico di Ranieri perché “a distanza di tanti anni” non si legge con più equanimità quella vicenda, è un rammarico che faccio mio, specie dopo avere letto gli interventi susseguitisi in questi giorni, a partire da quello del direttore di allora del “Corriere”, Piero Ostellino. Cari amici, io penso questo: dopo vent’anni quella polemica non è più la stessa di allora. Perché nel frattempo è accaduto qualcosa che ha sconvolto l’Italia. Falcone e Borsellino sono stati uccisi. E il bersaglio di quella polemica, dopo avere visto uccidere l’amico e sentendosi destinato alla stessa fine, disse nel suo ultimo intervento pubblico, venticinque giorni prima di saltare in aria, “Tutto è incominciato con quell’articolo sui professionisti dell’antimafia”. Possibile che nessuno abbia un’incertezza, un rimorso, una perplessità? nemmeno tra i liberali che amano il dubbio? nemmeno tra i nemici giurati del “pensiero totalizzante”?

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