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12 gennaio 2006. La dichiarazione di voto in Senato
Bentornati senatori,
dalle feste e dai ristori,
tutti insieme per votare
la gran legge secolare,
la più urgente, la più bella,
sì, la legge Pecorella.
Ma quant’è curioso il mondo,
nel suo gran girare in tondo,
che fa nascere d’incanto
una legge che può tanto.
E la scrive un avvocato
per salvare il suo imputato,
che poi, caso assai moderno,
è anche capo del Governo;
mentre invece l’avvocato
è un potente deputato.
Ah, che idea stupefacente,
non si trova un precedente.
E’ un esempio da manuale
di cultura occidentale
che sa metter le persone
sopra la Costituzione.
E ora è bello, edificante,
che di voci ne sian tante,
di giuristi, ex magistrati,
di causidici, avvocati,
pronte intrepide a spiegare
che la legge è da votare,
poiché vuole la dottrina
che il diritto su una china
più virtuosa scorrerà
se la norma si farà.
Ma pensate che bellezza
per un reo, l’aver certezza
che se il giudice è impaurito
o corrotto o scimunito,
potrà dar l’assoluzione
senza alcuna sconfessione;
che il processo finirà
e un macigno calerà
sull’accusa dello Stato
e su chi subì il reato.
Che trionfo, che tripudio!
E per Silvio che preludio
a una dolce terza età,
l’assoluta impunità.
Bentornati senatori,
per la fine dei lavori.
Cinque anni incominciati
coi tesori detassati,
poi vissuti con amore
a far leggi di favore:
rogatorie, suspicioni,
lodi, falsi e prescrizioni,
approvate in frenesia
e con gran democrazia,
che chi c’e’ non può parlare
e chi e’ assente può votare.
Mentre al pubblico, in diretta,
lui giurava: "Date retta,
se non si combina niente
sui problemi della gente
colpa è di opposizioni,
Parlamento e Commissioni!".
Bravi voi che con tempismo
combattete il comunismo,
anche se nell’ossessione
ce l’aveste una ragione:
falsa è di Marx la tesi
che lo Stato è dei borghesi;
ci insegnaste voi del Polo
che lo Stato è di uno solo.
Or votando con l’inchino
si completi il gran bottino
delle leggi personali,
questo sconcio senza eguali.
Del diritto sia mattanza.
Ma l’Italia ne ha abbastanza.
Nando
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