Nomine. Se l’arte si butta in politica

Continua il dibattito (nostro; al ministero, intendo) sulle cento e più “terne” spedite da ogni regione per governare per i prossimi tre anni le accademie e i conservatori italiani. Cento e più terne fra cui il ministro dovrà scegliere i futuri presidenti, quelli a cui toccherà di guidare tutto il sistema dell’alta formazione artistica e musicale verso il suo (sospirato) inserimento nell’area universitaria. Non mi pronuncio ora sui singoli nomi, perché non sarebbe corretto. Ma visto che stamattina Mussi si è scatenato in proposito davanti a una folta delegazione sindacale, almeno una cosa ve la voglio dire: ma perché, santo cielo, un’infornata simile di politici ed ex politici? Oh, sia chiaro, io contro i politici non ho nulla. Lo faccio anch’io e ho conosciuto (e continuo a ripeterlo a quelli che pensano siano tutti ladri) centinaia di politici bravi, capaci e onesti. Capaci anche di dirigere organizzazioni complesse.

Ma, detto questo, è mai possibile che le istituzioni d’arte propongano –in assoluta  autonomia e a voto segreto– una tale valanga di ex assessori e di ex qualcosa, o addirittura parlamentari in carica? Ma qual è il tarlo che rode dall’interno il nostro tessuto culturale e che fa sì che non ci si renda conto che in questo modo si perpetua la minorità, la subalternità del sistema artistico-musicale, invece di dargli nuovi orizzonti? Dopo avere sentito tante (e giuste) sollecitazioni al colpo d’ala, vedere questo spettacolo un po’ deprime.

Mi porterò questa inquietudine domani nel mio viaggio piemontese. Una tappa mi emoziona: l’incontro con le scuole a Saluzzo, provincia di Cuneo. E’ da due anni che mi chiedono di andarci, a Saluzzo. E forse senza l’insistenza cortese e tenace di Laura Caselli (di Libera e moglie del grande Giancarlo) non sarei riuscito a mettere il viaggio in calendario. Saluzzo. Lì nel settembre del ’20, al termine del “biennio rosso” e all’alba del fascismo nacque mio padre. In caserma, perché anche lui era figlio di ufficiale. In via Carlo Alberto, e da lì prese il nome. Allattato da una balia. La quale ha vissuto più di lui. Fino a un paio d’anni fa, superando i cento anni. La conoscevano tutti, perché mio padre, giunto ai vertici della carriera, volle andare a salutarla e ringraziarla. Sui giornali locali era diventata la mitica “balia del generale dalla Chiesa”. Spero di incontrare qualche suo discendente. In fondo anch’io devo qualcosa a quello stesso latte. Sono queste le cose della storia (e della vita), questi capricci meravigliosi, questi incontri misteriosi, che le danno un senso particolare. Nemmeno un artista saprebbe immaginarli. Figurarsi se si mette sotto la protezione di un politico…

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