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Matera mon amour. E Tito, l’amico ritrovato
Matera, sono a Matera. Una delle città italiane che più amo. Il miracolo architettonico e antropologico dei Sassi, le strade pulite, gli scontrini fiscali elargiti regolarmente nei bar, il museo Carlo Levi, una delle più belle librerie d’Europa ( la Cifarelli, che non c’è più…) me ne fecero innamorare una ventina d’anni fa. Ci ho scommesso sopra, nel senso che le ho fatto pubblicità indefessa ovunque, presentandola come uno dei centri più promettenti del Mezzogiorno d’Italia. Intuizione confermata ogni volta dai gruppi di giovani creativi -nella grafica, nella musica, nell’associazionismo civile- che ci incontravo quando tornavo. Poi qualcosa si è afflosciato. Ieri pomeriggio sono venuto a visitare il Conservatorio. E’ ospitato in uno stupendo (e sbilenco) palazzo barocco del Seicento in piazza del Sedile. Distribuito, anzi, intorno a quella piazza, perché ha altre due sedi accanto. Nella sede centrale c’è un auditorium bello e suggestivo dove ieri sera si è esibito un quartetto di musica tsigana, il violino un autentico fuoriclasse. Scommessa (mia) semplice e immediata: altro che andarsene in un’altra sede più grande, che è il ritornello di ogni Accademia e di ogni Conservatorio; ma valorizzare con il pugnale tra i denti una posizione tanto pregiata, che farebbe invidia a qualsiasi istituzione culturale. E trasformare il Conservatorio in un faro per la cultura e la gioventù della città.
A Matera mi ospita il mio amico Tito Di Maggio, che fu mio critico acerrimo per qualche tempo quando, stando nel partito liberale milanese, mi accusava di avere lucrato sulla mia partecipazione alla commissione antimafia del Comune di Milano negli anni novanta. Qualcuno doveva averlo convinto che così fosse, finché riuscii a dimostrargli che avevo ricevuto, anziché duecento milioni, quattro milioni. Poi -perché così succede nella vita- diventammo amici, e molto, e sempre più affiatati, anche in virtù della mia amicizia con suo fratello Franco Di Maggio, un grande magistrato a cui molto dobbiamo sul fronte della lotta alla mafia e alla corruzione (suo il primo processo a Cosa Nostra a Milano) e che purtroppo non c’è più. Non solo: ci legano, in fondo, rapporti più antichi. Suo padre, maresciallo dei carabinieri, venne incaricato da mio padre di cercarmi sul treno alla stazione di Sant’Agata di Militello una volta che ero scappato di casa a diciannove anni. In realtà non presi nessun treno. Girai per i quartieri del centro storico di Palermo per mezza giornata, sentendomi un eroe; poi girai un’altra mezza giornata sentendomi sempre più fessacchiotto via via che scorrevano le ore. Finché tornai a casa.
Tito ora si è stabilito qui. Fa l’imprenditore (divani) ma ha mille interessi culturali e civili, una perla rara nel sud (e forse in tutta Italia, direi, per un imprenditore). Ha perfino in mente di comprare immobili per dare posti letto agli studenti fuori sede. Ha una casa in mezzo ai Sassi che è una cosa a dir poco fantastica, arredata con un gusto e una originalità che gli invidio, e che serpeggia tra scale interne, corridoi sotterranei, meandri scavati nel tufo e improvvise terrazze che si affacciano su uno dei panorami più fascinosi che abbia mai visto, zeppo di barocchi e di chiese rupestri. Ora (forse, forse) si presenterà come candidato sindaco alle primarie di Matera. Intanto mi ha fatto il regalo di farmi conoscere Leonardo Sacco, ottantatreenne con il basco blu alla Nenni, ultimo “azionista salveminiano”, come ama definirsi, autore di molti saggi sul potere lucano. L’ho incontrato stamattina in un bar, fuori dallo “struscio” infaticabile della domenica (struscio maschile fino alle undici, poi entrano in azione le donne). Mi ha detto che il suo ultimo sogno, prima di andarsene, è rilanciare la rivista “Basilicata” come settimanale. Gli ho promesso che lo aiuterò. Tito pure, e non avevo dubbi. Eccitato da tanto buon fervore, ho perfino detto a Tito che, se farà il sindaco, poco ci manca che mi vien voglia di fargli l’assessore alla cultura. Ma vi rendete conto di che cosa voglia dire una città così, patrimonio dell’Unesco, con un bel Conservatorio piazzato nel centro storico? Fantasticherie…Oddio, però… In ogni caso sappiate che questo post è stato scritto su una scrivania che diede ospitalità a Benedetto Croce.
Nando
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