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I nuovi terroristi e i nostri compiti
Chiedo venia, mi rendo conto che rischio l’autoreferenzialità. Il paese non parla di alta formazione artistica e musicale. Il paese parla di terrorismo, discute dei nuovi terroristi. E si chiede se ci sarà un’altra stagione di lutti e di follie. In proposito vorrei dire una cosa che non è affatto originale: ed è che chi coltiva, oggi, sogni di lotta armata non ha per nulla il retroterra dei brigatisti degli anni settanta, ma ha spazi infinitamente più striminziti. Non c’è nessun grande movimento di massa rivoluzionario a fare da campo di reclutamento. Però vorrei aggiungere due cose, che sono forse meno scontate. La prima è che l’importante non è mai – purtroppo – ciò che è ma ciò che si crede che sia. E alla fine degli anni settanta, perfino nell’80, furono in molti a credere nella maturità del comunismo (do you remember Toni Negri?); mentre appena dietro l’angolo c’era l’Italia da bere, del consumismo sfrenato, l’Italia della P2 e della fine di ogni utopia egualitaria. Dunque non è affatto detto che ciò che noi constatiamo oggi inoppugnabilmente sia anche ciò che constatano i nuovi adepti del terrore. Il rischio che qualcuno dica che questa è la fase giusta (e lo motivi con pignoleria apodittica e maniacale) è sempre in agguato.
Nando
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