I mali profondi della politica. Kantiani si diventa

Visto che l’anno non è bisestile, eccoci dunque all’ultimo giorno di febbraio. Con le dita incrociate a milioni (e per fortuna che non è bisestile…). Intanto vado pensando cose strane , sospinto da cose e vicende altrettanto strane. Ieri ho parlato in senato con Heidi Giuliani, la madre di Carlo Giuliani, impegnata come pochi sui temi della pace. Mi ha accennato alle difficoltà del nuovo ruolo, tanto maggiori in una situazione come questa. Mi ha anche detto che in una assemblea c’è stato chi le ha dato della “guerrafondaia” per non avere imitato il prode Turigliatto. Sì, avete capito bene. Heidi Giuliani guerrafondaia! A questo siamo ormai, nel delirio che ci sta pervadendo. Io che tradisco la legalità, l’altra che tradisce la pace, eccetera eccetera. Un esercito di traditori da mettere sullo stesso piano degli altri, del centrodestra contestato, o dei personaggi più discussi del centrosinistra.

Com’è bello scoprire accanto a sé i traditori. Com’è bello scoprirne di sempre nuovi. Eccitare gli elettori a pensare che “sono tutti uguali”. Che appena “vanno su” gettano per terra le loro bandiere, usate solo per fare carriera. Mi chiedo quale male profondo sia mai stato lo stalinismo e quanto sia stato pericoloso perché -a ben vedere, in effetti- esso confina meravigliosamente con la libertà di opinione, con il diritto al dissenso, che è il suo contrario. Mi chiedo se lo stalinismo sia stato solo esercizio terroristico del potere o non abbia avuto dietro una cultura che lo sosteneva come il vento, un vento tanto più forte nella tragica temperie degli anni trenta. Chissà come è stata commentata l’intervista di Vendola al Corriere di ieri, in cui Nichi ha criticato il governo per avere voluto fare dei Dico un atto proprio anziché lasciarlo al parlamento. E in cui ha dato ai suoi stessi elettori una lezione di politica, di che cosa sia e di che rapporto debba intrattenere con la società: sentirla, ma non “usarla” (come a Vicenza, dice lui).

Io credo che non riusciremo a diventare vera forza di governo finché non ci saremo chiariti con coraggio (e prendendoci anche qualche metaforico sputo in un occhio) le vere, grandi questioni della politica, del suo essere “campo del possibile”, senza che ciò diventi alibi per arrendersi a vita all’esistente e rinunciare a dissodare anche i terreni più ostici; finché non saremo riusciti a tematizzare in modo limpido e responsabile i rapporti tra valori personali e politica, tra democrazia partecipata e obblighi istituzionali. Ho il dubbio che questa sia una fase in cui occorre sentire tutti, a partire dai più vicini, ma poi ognuno deve cercare la bussola dentro di sé. Kantianamente. Mai come oggi…

Leave a Reply

Next ArticleDopo (i mitici) Follini e Pallaro. Il pane e l'arte