Mimose e involtini di pescespada

Sole su Milano, bufera su Augusta. E su Siracusa. E su Acireale. E su Catania. L’8 marzo doveva essere nel mio giro per la Sicilia orientale una festa di luci e di mimose (vere e metaforiche). E’ stato un delirio di pioggia e di nebbia. Nebbia da non vederci e da rischiare di prendere l’autostrada contromano. Festa però lo stesso: di donne che non ci stanno; che accettano pure la nebbia e gli acquazzoni, magari addebitandoli a me, ma che non accettano l’egemonia dei clan e l’indifferenza che la nutre. La mattinata era iniziata con un raggio di sole ingannatore. Poi nuvolo e sempre più nuvolo, fino all’arrivo alla biblioteca Ursino Recupero di Catania. Qui, in mezzo a tanti ragazzi, grande, grandissima esperienza che raccomando vivamente a ogni politico. Lo sapete, no?, che a ogni dibattito si vedono dietro al tavolo cinque relatori e una donna relatrice, giusto per dire che c’è anche una donna. E che in molti casi si beccano perfino tavolate di undici-dodici relatori tutti rigorosamente maschi. Be’, io mi sono ritrovato solo in mezzo a cinque donne. La giornalista, la magistrata, l’intellettuale, la leader civile e la …farmacista! Ma sì, c’era anche Rita Borsellino. Con la sua prosa rotonda e razionale, senza una sbavatura ma spumeggiante di speranza. Accolta come un vero punto di riferimento (si dice così), e capace di commuovere senza un filo d’enfasi. Tutti contenti per il pubblico, per avere trovato un modo poco retorico di celebrare l’8 marzo e poi siamo andati a un veloce pranzo, dove il sottoscritto è diventato più minoranza ancora. Ossia: me medesimo e diciannove donne, che hanno anche preteso di pagare la mia parte. Ho sentito serpeggiare ipotesi sulla mia scrittura “al femminile” e mi sono subito messo un po’ in allarme. Non che mi dispiaccia, anzi, qualcosa di vero dev’esserci. Ma le teorizzazioni di questo genere fanno presto a scadere a elucubrazioni (quale personalità lo ha condizionato da piccolo? quale complesso ha vissuto, inconsciamente si intende? ecc.).

A Siracusa ho trovato Marilia, un’antropologa bravissima che ha parlato con me davanti a una sala svuotata dalla bufera e dal mio ritardo di un’ora. Io in questi casi seguo comunque il principio di Bruce Springsteen. Il quale forse il principio non lo ha mai enunciato, ma certo lo ha applicato. Sicuramente a Verona (calma, non c’entrano i conservatori!) nel 1993 allo stadio, una domenica di Pasqua sotto un nubifragio. Quella volta il grande Bruce davanti a uno stadio semivuoto diede il massimo di se stesso per più di tre ore. E io decisi che quello era un modo, forse il modo per dimostrare di essere meglio degli altri. Insomma, la faccio breve: la sala con le trenta persone dopo due ore di viaggio da tregenda non mi ha smontato affatto. E alla fine mi sono sentito un piccolo Bruce. Pronto a mangiare gli involtini di pescespada da Maria di Augusta: che ne ha fatti di due tipi, quelli catanesi e quelli palermitani (con uvette e pinoli), che secondo me hanno vinto 2-1.

Il tempo di dormire quattro ore, ingurgitare un caffè da resurrezione ed ecco il primo tg3 dire che “Zapatero ha desolidarizzato con Prodi”. Mi stava prendendo un infarto. Ma vi rendete conto? “Desolidarizzato”! E si sarà sentito pure colto. Ma il tapino non ce l’ha un papà che gli tira un ceffone? Che lo “attenziona”? O che ne “develocizza” la parola costringendolo a “finalizzare” meglio le frasi? Cari miei, questo è il declino… E domani ho il congresso cittadino della Margherita. Prometto che racconterò tutto. O quasi.

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