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Juliette e Gherardo. Amarezza di ammiratore
Ieri sera ho incrociato il mio tour con quello di Juliette Greco. Così sono andato a sentirla al “Calabresi” di San Benedetto, un cinema-teatro che ha resistito per anni al divieto di non fumare, facendomi impazzire un pomeriggio di circa quindici anni fa per la sfrontatezza dei fumatori e la complicità manifesta del locale verso gli eversori dell’ordine costituzionale. Confesso pubblicamente: per la prima volta ho capito che cos’è una diva. La Greco, ottantenne, un po’ curva sulle spalle, ha tenuto il palco magistralmente. Una voce profonda, fantastica, forse non abbondante in quantità ma straripante per qualità. Ho capito la grandezza della canzone francese della Piaf, di Becaud. Non solo cantanti. Ma interpreti teatrali. Poeti in musica. Lei si aggrappava al microfono come a trovarvi provvidenziale sostegno. Poi evocava con pochissime movenze antiche sensualità. E siccome avevo per le mani il depliant che la ritraeva giovanissima e poi quarantenne, ne ripercorrevo le fattezze, cercavo di risalire dalla signora senza tempo che avevo davanti alla donna fascinosa di quarant’anni fa, una cui frase d’amore, credo, doveva essere impagabile. Un’ora e mezzo di fila, retta con passione. Nessun effetto speciale, nessuna danzatrice, nessun fumogeno. Solo un pianoforte e una fisarmonica. A volte veniva da chiudere gli occhi e addormentarsi, non so se per la stanchezza o perché quella voce induceva effettivamente a liberarsi della sala e della gente intorno, e a portarsi in un silenzio ancora più denso.
Alla fine il sindaco è salito con le altre autorità cittadine, le ha dato la chiave della città. E a sorpresa mi ha chiamato sul palco. Sono salito, me la sono trovata di fronte, ho avuto la tentazione di baciarle la mano come avevano fatto altri in segno di ammirazione. Poi in una frazione di secondo ho pensato che non ho mai baciato la mano a nessuno, che altre ottantenni ho conosciuto degne (anche se non “dive”) di ammirazione e mi sono limitato a una calda stretta di mano. Lei ha avuto una impercettibile reazione, un lampo di sussiego negli occhi, ma chi crede di essere questo per non baciarmi la mano, io l’ho capito e un po’ mi sono fatto qualche senso di colpa. Una galanteria, in fondo, non costa nulla. Questioni vacue? Ma no. La musica, la donna, il tempo, non sono questioni vacue. Il tempo, appunto. Da vicino la giovinezza dell’interprete che sa dominare il palco era un’altra cosa. I capelli mossi in scena con la civetteria della ragazzina erano carichi di stanchezza. E le rughe erano poche. Sicché anche la stanchezza parlava poco, appariva meno nobile. In ogni caso non credo che nel novecento ci siano state più di dieci donne in grado di competere con Juliette. Anche per questo sono contento di averla vista e sentita almeno una volta di persona.
Sono stato, invece, molto meno contento di sentire Gherardo Colombo ieri pomeriggio. L’ho chiamato infatti dopo avere letto delle sue dimissioni dalla magistratura (ecco la notizia importante che ancora non sapevo alle undici del mattino…). Per esprimergli la mia amarezza e per ringraziarlo di tutto quello che ha fatto per questo paese. Considero una sconfitta che questo addio avvenga sotto il governo del centrosinistra anche se Gherardo ha cercato al telefono -come già nell’intervista al “Corriere”- di dare una versione rasserenante della sua decisione. A suo tempo abbiamo lavorato insieme alla fondazione del circolo “Società Civile”, e abbiamo sviluppato una affinità profonda, anche se la sua veste di magistrato in prima fila nelle inchieste di Tangentopoli mi ha poi imposto (per rispetto anche esteriore dell’autonomia dei reciproci ruoli) di diradare le frequentazioni. Già, anche questi sono i sacrifici chiesti dalla politica… Ho bellissimi ricordi del nostro impegno comune. Incontri nelle scuole, chiacchierate sulle panchine di un parco, dibattiti infuocati, un suo spettacolare autogol in una partita giocata in un oratorio veneto. Gli ho chiesto di prestare la sua collaborazione al progetto “Ethicamente” che presenteremo a Palermo martedì 27. Promuovere l’etica delle professioni in università. Mi ha detto di sì. E questo ha lenito un po’ il dispiacere di vedere un caro amico, un grande magistrato dire che per ora non c’è nulla da fare, che il sistema è irriformabile. In ogni caso mi sono dato subito un obiettivo: che il partito democratico serva a dare al paese un senso maggiore della decenza. Degli obblighi morali di una democrazia. Se no che cosa si chiamerebbe “democratico” a fare?
Nando
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