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L’esercito di Polistena. Cronache personali
Polistena. Grazie don Luigi Ciotti. Grazie per averci dato da anni questa occasione per incontrarci: familiari con addosso le ferite della mafia, cittadini che sognano, esseri timidi che tirano fuori il coraggio per una volta l’anno, e ragazzi che ridono nel primo giorno di primavera. Ho visto don Luigi provato nel fisico, una polmonite dicono, che gli ha impedito di usare la sua bella voce arrochita per più di cinque minuti, per continuare a ripetere quel che dice da tempo. La responsabilità non è solo della mafia, la responsabilità è di tutti noi. Che non è il solito “siamo tutti mafiosi”, meravigliosamente utile ad annullare le distinzioni e a mandare assolti gli assassini. E’ qualcosa di profondo, è l’invito a farsi sempre l’esame di coscienza su quel che potremmo fare di più. L’invito alla coerenza. A “non perdere tempo”, come ha ribadito oggi con una carica, una foga che mi ha messo i brividi.
Polistena piena nella sua piazza, nelle sue vie, con i nuvoloni che gironzolavano infingardi intorno e sopra la manifestazione. Città di raduni lontani, di scatti di orgoglio, terra aspra per gli amanti delle virtù civiche e oggi piena zeppa di arance che grondavano lungo tutta la strada per Lamezia da rami bassi e carichi. Ritrovate persone care, concentrate qui grazie a don Luigi, questo prete di cui forse non comprendiamo bene la grandezza. Giancarlo Caselli e Rita Borsellino, Piero Grasso e Tano Grasso, Beppe Lumia e Francesco Forgione (a proposito: pace fatta con lungo abbraccio), Franco Giordano e Libero Mancuso. E mia sorella Simona, tra i tantissimi, che mi sono trovato a fianco d’improvviso. O Michela Buscemila Ribelle. O il mio amico Amerigo, sindaco in fascia tricolore di Cleto, il paesino che lui, giunto allo stremo, voleva fare sponsorizzare dalla prima azienda che gli avesse dato i soldi per la scuola comunale. Tanti, tanti. Centinaia di familiari. E per loro -e non solo per loro- la lettura al microfono di quella terribile sfilza di nomi che si allunga ogni anno. Quelli che la mafia falcia. Stavolta ho posato gli occhi sui familiari giovanissimi. Li ho seguiti con lo sguardo, cercando di indovinare chi fossero, quanti anni avessero quando qualcuno gli uccise il padre o la madre. Anche loro, che magari avevano all’epoca tre o quattro anni, impegnati, quasi risucchiati in questa comunità, in questa famiglia sterminata. Ne ho visto uno, non faccio il nome, figlio di una giovane vittima per caso a Napoli, che si asciugava gli occhi, e poi se li asciugava ancora, e poi di nuovo ancora. Occhi azzurri, spettinato come i suoi coetanei, la vita bassa come i suoi coetanei, e un dolore antico che non siamo ancora riusciti a estirpare. Giuro che ho fatto una fatica boia a non andare ad accarezzarlo. E forse ho fatto male. Ohi, il pudore che scherzi può giocarci…
Chissà che cosa diranno i giornali di Polistena, che cosa ne racconteranno. Il discorso di Grasso, o quello della ragazza calabrese, figlia di un imprenditore ucciso, che amala Calabria e lo grida dal microfono. Chissà che immagini hanno fissato. Chissà che racconterà con le sue foto o le sue cassette quello che rideva sul palco mentre si leggeva l’elenco della pietà. Bisogna esserci e guardare negli angoli, per capire. Chi c’era dei ministeri, volete sapere? Interni, Istruzione, Università, Politiche giovanili. Le agenzie sono fioccate tutto il giorno. Per fare parlare e dichiarare soprattutto chi non c’era. La primavera è iniziata, i giorni si allungano sempre di più, tra un po’ arriva pure l’ora legale. Grazie don Luigi.
Nando
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