Francesco Saverio, il presidente

Sono andato a trovare Francesco Saverio Borrelli. Come qualcuno saprà, l’ex procuratore capo di Milano, l’uomo che garantì autonomia, sostegno e impulso ai suoi sostituti nelle inchieste contro la corruzione economica e politica, è da poco diventato presidente del Conservatorio di Milano. Era stato inserito dal consiglio accademico nella terna di candidati in cui poi, secondo la legge, deve scegliere il ministro dell’università. Che ha scelto lui, con qualche mia complicità. Che Borrelli sappia gestire organizzazioni complesse è dimostrato d’altronde da come ha guidato la difficile macchina della procura milanese: uffici e uffici, centinaia di persone, problemi logistici e di procedura da grande azienda. Che sia competente in musica è noto, se non altro per il suo diploma in pianoforte e per la sua riconosciuta passione di musicologo. Insomma, era un candidato perfetto. Sono voluto andare a trovarlo, per fargli gli auguri da parte di tutto il ministero. Per dirgli che l’intero sistema dell’alta formazione artistica e musicale si aspetta molto da lui. Si aspetta ad esempio di acquisire, grazie alla sua presenza in una postazione strategica, un di più di serietà, anche come immagine pubblica. Incontro spesso, fuori Milano, nelle Marche come in Campania, docenti che mi dicono “per fortuna che ora c’è Borrelli”; per dire che grazie alla sua bacchetta magica smetteranno in altre sedi i casi di poca trasparenza o di scarsa serietà. Ossia i casi che hanno nuociuto alla credibilità artistica di tanti docenti e allievi.

Questo volevo dirgli. L’ho chiamato l’altro ieri da Napoli per annunciarglielo. Lui ha spostato alcuni suoi appuntamenti di ieri pomeriggio. Sono pure arrivato tardi, come il classico politico cafone, per colpa di una tivù privata che ha fatto slittare i tempi di una trasmissione. E l’ho trovato al suo nuovo tavolo, in una stanza piccola e disadorna. Con le carte da leggere e la penna in mano. Il grande procuratore che il centrodestra ha voluto fare uscire dalla magistratura a 72 anni, mentre Carnevale ci può restare fino a 85, era in quella stanza a informarsi bene delle vicende del conservatorio che gli è stato affidato, a documentarsi sui problemi della sua nuova istituzione, sui quali mi ha già presentato una nota. Gentile, rispettoso, di quel rispetto che solo i grandi uomini sanno avere verso chi per le alterne vicende della vita si trovi ad avere un grado superiore al loro. Quando mi ha aiutato a rimettermi il cappotto, ho capito che cosa c’era in quel gesto cortese. C’era la gratitudine per una nomina che lo ha sottratto alla sua condizione di “pensionato”, come dice lui schermendosi; c’era -penso- la gratitudine anche umana per l’appoggio ricevuto disinteressatamente quando era alla guida della sua procura al centro del mondo; e soprattutto c’era la grandezza di chi sa senza complessi cambiare il proprio ruolo perché è in pace con se stesso, perché sa di avere fatto nella vita quanto doveva, e di avere un prestigio che nessuno potrà scalfire. Mi ha detto solo, quando gli ho spiegato davanti al direttore del “Verdi” che avevamo cercato di evitare nomine politiche: “sono contento, allora non mi avete considerato una toga rossa”. Ed è scoppiato a ridere.

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