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La festa di Anna
Anna è una gentile signora di Piacenza. Impiegata, madre di due figli adolescenti, uno dei quali già in vista della giovinezza. Ha gli occhi scuri luminosi e il tipico contegno che nasce da un’educazione umile e severa, quella che una volta si formava sui luoghi del lavoro e della devozione. Tempo fa era una ragazza matura. Erano gli anni ottanta, o i primi anni novanta. E studiava Scienze politiche a Milano. Me la trovai nel corso di sociologia economica. Una delle mie migliori allieve in assoluto. Studente-lavoratrice. Uno di quei rari studenti che combinano l’intelligenza viva, la maturità umana, e la disponibilità a faticare; ossia l’atteggiamento di chi si applica su ogni particolare e da ogni particolare distilla pensieri e informazioni da immettere, come pepite, nei propri circuiti mentali. Dopo l’esame prese la tesi con me. Poi allentò i rapporti con l’università. Iniziò a farsi vedere sempre più raramente. Ogni tanto mandava messaggi per spiegare che era ancora intenzionata a laurearsi. Ma il tempo passava e quei messaggi assomigliavano sempre di più a fragili speranze, a sogni che cercavano di prenotare una realtà impossibile con il solo annunciarsi. Era successo che Anna aveva dovuto lasciare l’università per ragioni familiari, per scelte di pietà e di amore che nessuno vorrebbe essere mai chiamato a fare. E in più aveva anche due figli da tirar su, sempre lavorando.
Ci sentimmo sporadicamente mentre gli anni passavano. Ogni tanto spuntava il suo viso in mezzo al pubblico in qualche dibattito in cui fossi impegnato dalle sue parti. Un giorno, dopo più di dieci anni, mi disse che voleva fare la tesi, che aveva aggiornato l’indice iniziale, che ci stava lavorando. Le spiegai che io ero ormai in aspettativa e la indirizzai da Gian Primo Cella, giunto nel frattempo a insegnare sociologia economica in facoltà. Cella fu gentilissimo, lei incominciò a progettare la laurea come evento realistico. E la fece sulle problematiche sociali alle quali era stata portata dalla vita ad appassionarsi: "Le conseguenze economico-sociali dell’invecchiamento della popolazione: il caso dell’area piacentina". Le promisi che in ogni caso l’avrei aiutata, che il "suo" vecchio professore non avrebbe cercato un alibi nei propri incarichi istituzionali. Un giorno mi fece anche una sorpresa stupenda, impagabile: mi regalò i suoi appunti sulle mie lezioni, gli unici dei quali io oggi disponga. Mi riportò di colpo a quando avevo i capelli neri e i baffi neri e un fazzoletto nel taschino della giacca a quadri o a righe e i pantaloni di velluto. Be’, come forse si sarà capito, oggi (scrivo all’una di notte) Anna si è laureata. Con la sua famiglia che osservava a distanza di qualche metro dalla sedia su cui si era seduta. E io ho partecipato alla sua festa nella veste di correlatore! Avevo chiesto l’autorizzazione di poterci essere e ho riindossato le mie vesti di professore. Che belle, amici cari, le tesi di laurea; che bella l’università con i colleghi un po’ invecchiati ma genuinamente gentili. Perché solo l’università sa metterti insieme in pochi minuti la giustizia di Giobbe, il velo nelle scuole francesi, il diritto d’autore e i vecchi della montagna piacentina. Intendiamoci: anche la politica ti fa parlare dell’universo mondo in una manciata di minuti. Ma qui ne parli pensandoci, tra esperti veri, e in atteggiamento scientifico, non sparando fesserie a seconda della temperie ideologica del momento (certo, poi la politica ne parla anche per risolverli concretamente, i problemi). In ogni caso Anna si è laureata. 110 e lode, all’unanimità. Come era giusto. Perché la tesi era di rango superiore. E perché lei è una donna speciale. La sua festa è stata anche la mia. Non solo perché mi ha fatto tornare all’università. Ma perché mi ha commosso vedere una delle mie migliori allieve avere ragione del destino e conquistare ciò che le era dovuto, ciò che altri ottengono con facilità tanto più disinvolta. Brava Anna! Che la vita, se può, ti sia più generosa.
Nando
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