Il venerdì santo delle Ribelli

Oggi è il 7 aprile. Una data che ventotto anni fa scatenò rotture e polemiche a non finire. Toni Negri e l’Autonomia sotto processo. Il brivido del passamontagna e il magistrato che te lo leva. Ma soprattutto è la vigilia di Pasqua, festa religiosa ma che può essere al tempo stesso festa laica. Ne ho avuta prova stamattina, quando sono arrivato nel Monferrato povero, quello di Montiglio e Cavagnolo, ospite di Luciano Nattino, mio grande amico del pensionato Bocconi, che dopo avere fatto l’assessore ad Asti si è dedicato alla vecchia passione del teatro.  Nattino ("il buon giorno si vede dal…",dicevamo senza fantasia) si è inventato una cosa splendida. Una passione di Gesù rappresentata attraverso fiaccolate, poesie, libri, passando per otto stazioni, ciascuna coincidente con un luogo. O sito archeologico, o piazza o chiesa. Dalle nove di sera del giovedì alle tre del pomeriggio di venerdì, senza interruzione, nemmeno di notte. Con due pullman di pellegrini al seguito di tutte le tappe e gli abitanti dei singoli paesi che si aggiungevano di volta in volta.

Be’, ho provato il brivido di sentire recitare, rielaborato, un brano delle Ribelli. Un brano di Rita Atria, interpretato magistralmente (e con passione tutta siciliana) da Sabrina Petyx al sito archeologico di Industria, con canti (meravigliosi) della settimana santa eseguiti dai Ditirammu, siciliani armati di verve recitativa, di tamburi, campanacci e violino. Canti evocatori. Tutto sull’erba, mentre i primi tepori del sole si diffondevano sulla gente raccolta intorno al palco di pietra.

Dopo ci si è spostati tutti verso la chiesa di San Grato, per affrontare il tema "Ribellioni e sconfitte". Ero chiamato a parlare con Marco Revelli, il sociologo figlio del grande Nuto, e con Laura Testa, futura pastora valdese dai natali siciliani. Preceduti da due cori di grande livello, ci siamo confrontati sull’idea di ribellione e di giustizia. Revelli ha fatto una suggestiva comparazione tra Prometeo e Giobbe, per dire che si schiera con Giobbe, ben più rivoluzionario, nella sua pazienza di "giusto", dell’arrogante Prometeo. Laura Testa ha spiegato come la massima violenza verso una donna sia costringerla al silenzio  o all’accettazione di una normalità assurda, e ha raccontato, figure del tempo alla mano, come le prime streghe (o donne a cavallo di una scopa) siano state le donne valdesi, portate al rogo a causa delle loro "eresie". Infine io ho spiegato come le Ribelli siano, in realtà,un po’ l’assalto al cielo di Prometeo un po’ la sofferenza paziente di Giobbe; e soprattutto come il grande, sommo atto della pietà dei giorni della Pasqua, ovvero  la Deposizione, sia stato negato a queste donne, che mai poterono tenere tra le loro braccia il corpo del figlio o fratello ucciso.

Marco, visibilmente coinvolto, mi ha invitato a riparlarne a Cuneo alla Fondazione Nuto Revelli. Gli ho promesso che lo farò. Ma sono ripartito dai luoghi del Monferrato povero con un’ammirazione sconfinata per chi, come Luciano, è riuscito a concepire qui, proprio qui, un simile percorso pasquale. Roba da catturare un laico e fargli dimenticare (almeno sotto Pasqua) le pretese senza fine degli uomini che parlano "in nome di Dio".  Perché quella del dolore e della passione, della violenza e dell’indifferenza, di Ponzio Pilato e della folla che acclama il ladrone è una rappresentazione che torna in tutta la storia dell’uomo. Nei secoli, nei millenni.

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