Nostalgie danesi

Sono tornato a Milano in attesa di ripartire per Roma. Fisso subito sul Blog queste ulteriori brevi impressioni su Copenhagen, sperando che nessuno mi dia del matto se penso (anche) a queste cose nella fatidica settimana dei congressi Ds e Margherita (a proposito: leggerete a breve mio modesto contributo). Anzitutto la bandiera. Sissignori. C’è dappertutto la bandiera danese; nel centro storico di Copenhagen non ci sono cento metri senza che la si veda. Bella, con la sua croce bianca su sfondo rosso. Lo so, a molti blogghisti non importerà un fico secco. Anzi, magari gli viene l’orticaria a sentir parlare di bandiera. Il nazionalismo e quelle cose lì. Ma io che ho vissuto in caserma e che consideravo quasi una favola notturna il "Silenzio" suonato alle undici di sera dall’appuntato Bonizzi che sembrava Nini Rosso tanto era bravo, e poi mi alzavo a ripassare le lezioni quando suonava l’alzabandiera, io amo vedere la bandiera. Anzi, penso perfino che sia una cosa giusta che un Paese la esibisca nelle sue strade.

Poi i bambini. Ne ho raccontato sull’altro post. Poi li ho visti anche andare a frotte verso i parchi con le loro maestre e i loro maestri (sì, lì esistono anche i maestri) negli orari di lezione e mi è sembrato sublime. Arrivano a ondate, vociando e tenendosi per mano, poi si siedono in cerchio e il maestro o la maestra parla. Non capendo un’acca di danese non so dire se facessero una lezione sulla natura, sulla primavera, sulla storia, se facessero una seduta psicanalitica di gruppo o se gli si raccontasse semplicemente una favola. So, intuisco, che fare scuola così deve insegnare ad amare la scuola. Quindi le panchine. Ah, quelle sono dappertutto. Non le devi nemmeno cercare. Il che vuol dire che oltre a rispettare i bambini rispettano anche gli anziani, gli infermi o in ogni caso i "non atleti", quelli che – per limiti fisici e non solo – non potrebbero mai correre per la città sei ore di fila. E sulle panchine si ruota come ai tavolini dei bar. Se c’è uno che sta visibilmente peggio di te ti alzi e cammini fino a trovar posto, se vuoi, sulla prossima panchina. La sosta, questo è il senso culturale della panchina. Si può sostare a vedere, a  pensare, a mangiare, a conversare, a leggere comodamente per capire in che punto della città sei. E panchine e sedie anche nei musei. Non come eccezione, ma come regola.

E infine il design. Certo, si farà il nuovo salone del mobile a Milano e saranno nuovi successi del made in Italy. Io però mi permetto di dire questo: attenzione a non crogiolarci troppo nella retorica delle nostre eccellenze. Ragazzi, il design danese crescerà e ci darà idee e forse anche punti. A me sembra fresco, originale, asciutto, di una sobria deliziosità. Talvolta comunica il senso della fiaba. Vedremo se mi sbaglio. E ora adelante con il Partito democratico.

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