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PD, non fàmolo strano
(Europa, 26 aprile 2007) – Fàmolo strano. Così, lubrico come un riccio, coatto in pelle nera, Carlo Verdone esortava la compiaciuta giovane moglie (Claudia Gerini) nell’indimenticabile "Viaggi di nozze". E proprio il "fàmolo strano" mi è tornato in mente rimuginando su temperie e finale del (bel) congresso in cui la Margherita ha deciso di sciogliersi per fondare il sospirato partito democratico.
Un dubbio sottile mi aveva attraversato durante i due giorni e mezzo di Cinecittà. Prima divertito, poi inquieto. Mi ero chiesto perché dovendo descrivere il passaggio in corso quasi tutti facessero ricorso a immagini dell’epica della navigazione. Era un tripudio di navi che salpavano, di barche che sfidavano le onde, di ormeggi che si scioglievano o – nella versione più eroica – che si tagliavano, di vascelli che si bruciavano, di stelle che indicavano la rotta, di mari aperti e di porti che si lasciavano. Non ironizzerò dicendo che erano mancate solo le gondole. Anche perché, onestamente, molte di quelle immagini erano efficaci, calzanti. Politicamente vere.
Aveva però qualcosa di simbolico il fatto che una intera comunità politica usasse quel linguaggio e quelle immagini. Che perfino il marmo di Carrara venisse evocato per trarre un nuovo verbo marinaro ("varare") dalla sapienza artigiana delle alpi apuane. O che, si pensi la forza delle combinazioni, il tutto si celebrasse nel capannone in cui Federico Fellini, maestro dell’inconscio, aveva diretto "E la nave va". Al terzo giorno l’interrogativo era diventato un obbligo. Da dove nasce questo tessuto fitto, univoco, di metafore e linguaggio? Quale vissuto collettivo, quale immaginario antico, quali simbologie condivise stanno emergendo? Facile risposta, alla fine. E’ la nostra civiltà che sta passando, forzando, la superficie delle parole e dei sentimenti. La nostra civiltà marinara, il nostro essere popolo di marinai. Ma, ecco il punto, le parole dei marinai sono in genere friabili, incerte. Evanescenti. Camaleontiche. Non per nulla una saggezza popolare antica, non gli studi di marketing, ha coniato l’espressione "promesse da marinaio", a significare l’inaffidabilità di quella parola, specie se rivolta al futuro.
Ecco la radice del dubbio. Anche perché quella civiltà si stava esprimendo, appunto, dentro una comunità politica. E anche la politica ha le parole ballerine. Non sempre per mala intenzione. Ma perché essa agisce dentro contesti cangianti, che chiedono aggiustamenti, e talora rovesciamenti, di scelte e linee. E per di più ama essere indulgente con se stessa proprio invocando la mutevolezza dei contesti storici. Che senso avrebbero avuto dunque le parole di un popolo marinaio che fa politica?
Perché le parole erano belle, riconosciamolo. Una testa un voto. Non si partirà dalla difesa delle posizioni di potere personali esistenti. Una grande assemblea costituente. Nasce una cosa nuova, non daremo la precedenza alle nostre tradizioni e fedeltà politiche. Adesione vorrà dire partecipazione. Avremo un’anima. Le donne; dovranno essere presenti tante donne, fin qui abbiamo sbagliato, diciamolo, non ci sarà nemmeno più bisogno delle quote rosa. E tanti giovani, tantissimi giovani, che avranno il diritto di fare del futuro partito una cosa propria. E altro, molto altro. Godibile, refrigerante, incoraggiante. Punteggiato ogni volta dagli applausi. Poi si è scesi tutti a terra. E si sono prese le decisioni. E ho finito i miei (appassionati) cinque anni di Margherita senza avere votato una sola volta. Non il gruppo dirigente, somma di quote decise a tavolino e frutto a loro volta di altre quote di provenienza anch’esse decise a tavolino; mai valutato, nei singoli, per i meriti acquisiti sul campo o per il prestigio conquistato nell’opinione pubblica o tra gli elettori. Ecco spuntare un’assemblea federale che ha esattamente tanti candidati quanti sono i posti, non uno di più, non uno di meno. E le donne che stanno sotto un decimo (arridateci le quote!). E i giovani cooptati a parte, anche loro un po’ quotizzati. E, tieni qui la ciliegina, pure i richiami alle tradizioni e alle lealtà precedenti in vista del partito che nasce.
Domanda. Ma come sarà davvero il partito democratico? Che democrazia prevederà al suo interno? Che leggi elettorali ci darà? Perché una democrazia dove non si votano le persone non è una democrazia. Perché la centralità della persona, tanto appassionatamente invocata, vorrà pur dire che le persone contano, che una non è uguale all’altra, e che anzi persone diverse danno segni diversi a quello che sulla carta è lo stesso progetto politico. Ecco, andare verso il partito democratico privi di entusiasmo verso la prassi e le idee della democrazia, desta confessiamolo, un po’ di preoccupazione. Perché è vero, è sicuramente vero che non è stata una fusione a freddo. Che sono state messe alla prova corde e storie personali, che sono corse le lacrime, altroché se non è vero. Ma è un po’ come se il calore, la passione, avesse funzionato solo per ciò che si lasciava, e non per ciò verso cui si andava.
E invece conviene dirlo subito. Bisogna andare con entusiasmo verso un grande bagno di democrazia, a partire dalla assemblea costituente. Perché un partito democratico senza voto, un partito democratico dove nessuno viene votato, è un "fàmolo strano". E’ come un partito nazionalista che abolisce le bandiere sugli edifici pubblici e nelle caserme. E’ come un partito socialista che fa pagare più tasse ai poveri. E’ come la Lega che raddoppia i fondi per il Belice e costruisce le moschee. E’ come Forza Italia che fa tornare in servizio Borrelli. Come i Verdi che danno sgravi fiscali ai cacciatori. Mentre noi per anni abbiamo atteso e abbiamo creduto in un partito democratico vero, normale. Quello abbiamo raccontato ad amici e parenti e benefattori. Il partito "fàmolo strano" è un po’ più difficile da raccontare. E da digerire. E non ha nemmeno il fascino del proibito. Sembrerà singolare, ma a proposito di "sfide ambiziose", di "emozionanti scommesse", e di "splendide avventure", la prima sfida è proprio questa: dare alla proprie parole una coerenza. O da quel 23 per cento non ci schioderemo mai. Se non per scendere.
Pavlov
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