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La sicurezza e la retorica
(L’Unità, 13 maggio 2007) Ma certo che la sicurezza è un diritto. Un diritto primario. Un diritto di tutti. Specialmente dei più deboli. E già il doverlo dire (o ripetere) è il segno di un ritardo che pesa sull’immagine di quella che chiameremo per semplicità "la sinistra". A volte davvero non ci si capacita. Ma è possibile che non si riesca a dire con chiarezza -ora e qui, per sempre- che noi daremo sicurezza ai cittadini, che li difenderemo nella loro incolumità e nelle loro legittime proprietà, senza che ci si debba subito affannare ad aggiungere una quantità industriale di però, di multietnicità, di accoglienza, tutta roba sensata ma che pare piazzata lì, in ogni dibattito, per annunciare che alla sicurezza ci penseremo certo, ma per metà, e con qualche fastidio, e con qualche imbarazzo ideologico? E’ possibile che non si riesca a evitare che da ogni dichiarazione appena impegnativa traspaia quasi un senso di colpa per avere tanto osato rispetto alle proprie origini e tradizioni culturali? Il povero che delinque per bisogno. Il carcerato che va recuperato. L’immigrato che va inserito. Ogni buona affermazione di principio sembra smarrire ogni valore in sé; e sembra invece disposta in una successione infinita di paletti di fronte alla richiesta di sicurezza che sale, e non può non salire, da un paese invecchiato, dove si moltiplicano le solitudini e in cui per la prima volta nella storia si fanno i conti con ondate migratorie che cambiano velocemente i paesaggi umani.
Riconosciamolo. C’è un’antica tradizione della sinistra che, anche in
opposizione allo Stato (oppressivo e repressivo per definizione), si è
ingegnata di spiegare le cause "a monte" del delitto anziché costruire
una cultura efficace della sicurezza. E se le cause a monte sono
importanti per capire, la cultura efficace della sicurezza è importante
per "fare" prima che sia troppo tardi. Per assicurare la più alta
protezione possibile nelle condizioni date.
Dispiace, può dispiacere, l’arresto di un immigrato o di un adolescente italiano per un borseggio. Dispiace, dovrebbe dispiacere di più che un’anziana signora, che magari ha lavorato onestamente tutta la vita senza alcuna responsabilità nelle diseguaglianze del pianeta, rimanga per un mese senza la sua pensione a causa del borseggio medesimo. Ecco, è questo tipo di sentimenti elementari, sorretti da giudizi di valore elementari, che "lavora" nella percezione che il popolo ha della destra e della sinistra. Talora questo lavorio si svolge nell’inconscio. Perché è poi abbastanza senso comune che la sinistra si sia impegnata con più coerenza contro la criminalità organizzata, quella più pericolosa. O che non si sia tirata indietro di fronte al terrorismo. Ma sta di fatto che buona parte del popolo, ben più ampia di quanto sia sensato ritenere "naturaliter" di destra, diffida della sinistra quando pensa alla propria sicurezza. E sta pure di fatto che quando la sinistra annusa il fenomeno, specie in periodo di campagna elettorale, scopre che nulla può contro un giudizio sedimentato nel tempo. Anche perché il tentativo di rimonta non ha quasi mai alle spalle una consapevolezza profonda dei problemi e delle strategie per affrontarli. E allora fioriscono a ogni stagione i poliziotti di quartiere e i patrocini delle vittime. I primi velleitari, i secondi mai praticati visibilmente. Si fa, insomma, la "retorica della sicurezza".
Sarkozy ha vinto, e ha spiegato che la retorica dell’ultimo momento non basta. Può darsi che i suoi annunci facciano la fine dei proclami sulla tolleranza zero sentiti in Italia. Cioè che servano prevalentemente ad agitare spettri, a seminare rancori e diffidenze. Che in genere non sono buona medicina. Anzi, peggiorano ulteriormente la qualità della vita civile. Può darsi invece che vengano tradotti in politiche efficaci, credibilmente con qualche costo sociale. E in effetti è questo il punto. Sa, vuole la sinistra garantire sicurezza senza trasformarsi nella destra, ossia in imprenditore politico della paura? Senza cavalcare cioè i sentimenti di paura dei comuni cittadini, a partire dai più deboli? O scimmiottare la formula dell’ordine e legge? Certo, specie di questi tempi potrebbe (dovrebbe) usare -e con nettezza- qualche parola in più, per fare capire che il tema le sta a cuore. Potrebbe (dovrebbe) farsi interprete di un bisogno sentito, che è tutt’uno con i bisogni e gli istinti primari di sopravvivenza. Dovrebbe trasformare in politica quotidiana l’immagine data da Giuliano Amato qualche settimana fa a Gela. Ma poi dovrebbe compiere una vera rivoluzione, anche rispetto ai canoni della destra. Tanto gagliarda a parole quanto inefficiente alla prova dei fatti, oltre che disposta, come si è visto, a sacrificare l’efficienza della giustizia sull’altare di un pugno di interessi personali. Dovrebbe cioè vincere l’eterna, storica sfida con cui questo paese si trova a misurarsi: l’impossibilità di essere normali. Risultati di primissimo piano di fronte alle più micidiali emergenze criminali, fiacchezza da impiegati del catasto di fronte alla quotidianità. Proprio così. Nella quotidianità il cittadino si sente insicuro anche perché vede pochi controlli in giro. Perché si sente poco assistito. E’ stupefacente, a volte, vedere come egli sappia misurare subito un questore, un comandante dei carabinieri, da quello che osserva nelle strade del suo quartiere. Per questo occorre dargli soprattutto una cosa: la certezza dell’impegno quotidiano. Quando l’avrà, sarà anche più possibile spiegargli che una quantità impressionante di delitti immediatamente attribuiti a immigrati sono stati commessi da italiani, anche di "buona famiglia" (ricordate Novi Ligure?). Sarà più possibile fargli capire le ingiustizie della Bossi-Fini. O lo scandalo dello sfruttamento in nero di un intero popolo clandestino.
Questa è la funzione di una classe dirigente determinata e competente. Che opera con coerenza su ogni piano utile e possibile: dall’illuminazione all’urbanistica, dall’educazione nelle scuole al bullismo, dalle caserme alla formazione delle forze dell’ordine, dalla durata dei processi alla qualità dei giudici di sorveglianza. Senza indicare ogni volta le carenze per colpa delle quali "non si può", ma risolvendole con metodo. Senza indicare i modi "non repressivi" dell’intervento in alternativa alla repressione, ma garantendo gli uni e l’altra, fino a poter mostrare ai cittadini i risultati ottenuti. Ecco. I risultati invece degli annunci. La buona propaganda dei fatti, anziché quella (in genere velenosa) delle parole. Ma se il messaggio che arriva è una combinazione di buonismo, di indulto, di quieto vivere e di formule esorcistiche ("il problema è ben altro"), non solo si rinuncia a una componente essenziale della cultura di governo e non si compie il proprio dovere di governanti; ma si aprono alla destra intere praterie. La subalternità alla destra non sta nel difendere la sicurezza. Sta nel credere (come lei) che la sicurezza sia alternativa alle garanzie e alla solidarietà.
Nando
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