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L’angioletto ne(g)ro
Scusate tutti se vado di corsa, ma sono nel pieno delle magiche atmosfere mantovane, di cui vi racconterò domani; devo davvero attendere a un po’ di incombenze urgenti (ma che cose fantastiche che si sentono e si vedono!). E scusate tutti, pure, se non vi parlo ora del comitato che farà da ostetrica al Partito democratico. Anche per quello ci sarà modo e tempo, pur se intanto mi lascio scappare che è ben curiosa una politica che si fabbrichi o si inventi una "sua" società civile per mostrarsi aperta. E infine, ultima richiesta di benevolenza, scusate tutti se dopo un post di auguri vi rifilo un altro post di auguri. Ma credo che mi capirete. Oggi compie una settimana un angioletto nero, il mio primo (chissà…) nipotino di colore. E’ il figlio di Alberto, a sua volta figlio minore di mia sorella Simona. Il quale per non essere troppo ubbidiente ai proverbi (moglie e buoi ecc), si è sposato con una splendida ragazza cubana di nome Jani. E giusto una settimana fa ha avuto Julio Carlos, che sa molto, come nome, di terzino di fascia (Roberto Carlos, Carlos Alberto, ecc.), e che invece non fa che sommare sul suo corpicino i nomi dei due nonni, Julio, il cubano, e Carlo, il catanzarese.
L’esperienza di un nipotino di colore mi riempie di curiosità, di affetto, di emozione. E friggo dalla voglia di pizzicarlo e fargli i dispetti, come faccio con tutti i bimbi dagli zero giorni in su. Ce lo aspettavamo di colore caffelatte e invece è spuntato nero, del colore del caffè salernitano, o almeno così pare da foto e testimonianze attendibili. Ora bisogna sapere che quando mio nipote Alberto era piccolo facevo con lui al mare un gioco (un innocente dispetto): lo bloccavo ogni mattino presto mentre stava uscendo e gli chiedevo "l’hai preso il caffè?". Lui mi rispondeva di sì, giusto perché lo lasciassi in pace e potesse correre a giocare con i suoi amichetti. Allora io lo fermavo ancora e gli dicevo: fammi sentire il fiatino. Lui lo tirava fuori e io lo rimproveravo: ma non sai di caffè, allora non hai preso il caffè. E il tormentone si ripeteva tutte le sante mattine dell’estate (lo so, lo so, esageravo con la piccola vittima). Sicché ora gli ho scritto che evidentemente a furia di prendere il caffè da piccolo ne ha trasmesso il colore al figlio, e che questa potrebbe essere una scoperta scientifica sconvolgente (chi da piccolo prende molta aranciata fa il figlio con la pelle arancio, chi prende molto latte lo fa albino, ecc).
Però, siccome sono a Mantova, dove tutto viene visto in chiave musicale, ho pensato in particolare a un’altra cosa. Mi è tornata in mente un motivo di tanto tempo fa, che cantava con accento singolare don Marino Barreto jr, quello che rifaceva anche "Arrivederci" di Umberto Bindi. Era la canzone dell’"angioletto negro". Sì, c’era la "g" prima della "r"; e tuttavia sembrava una canzone molto progressista, e a me bambino commuoveva. Perché teorizzava, in tempi di discriminazioni feroci, l’esistenza degli angioletti negri accanto a quelli bianchi. Era una bella canzone, che vent’anni dopo riprese Fausto Leali, non per nulla chiamato "il nero bianco". Incominciava con questi versi: "Pittore, ti voglio parlare/ mentre dipingi un altare". Ecco, da Mantova mi viene questo augurio da fare al nostro futuro terzino di fascia (che il padre, avendo il patentino di procuratore calcistico, saprà come piazzare..): buona settimana di vita, angioletto nero. A proposito: l’hai preso il caffè?
Nando
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