Romagna mia. Confessione d’amore

Dal vostro inviato di guerra. Sono comodamente seduto nella hall dell’hotel Milano (***) di Bellaria, sulla mitica riviera romagnola. Mentre scrivo, dall’altra parte del lungomare un istruttore sta facendo fare ginnastica sul bagnasciuga a un centinaio di pensionate, con il rinforzo di qualche siluettata trentenne a eterno incubo di cellulite. Confessione: amo la Romagna. Non solo perché è terra sanguigna e dalle forti passioni (in ogni senso), non solo perché si sa divertire, o perché è la terra di Fellini, o perché vota a sinistra. Ma anche per due ragioni la cui fondamentale importanza potrebbe forse sfuggire a qualche blogghista. La prima è che qui la frutta è un dovere, un "must" direbbe qualche mio amico ubriaco di inglesismi. Arrivi in albergo e trovi piatti di frutta ad aspettarti. Finisci l’intervista in pubblico e ti portano la birra con la frutta. Frutta vera, meravigliosa, ammaccata e buonissima. Ora capisco tutto il senso che poteva avere ai tempi della mia infanzia quella terribile minaccia di mandarmi a letto senza frutta. Ora (ri)capisco perché la mattina della Befana ti potevi trovare nella calza due arance siciliane, come beni preziosi. La frutta come felicità, benedizione. Non ne posso più di andare ai ristoranti, chiedere la frutta e sentirmi rispondere che non ce n’è, se vuole c’è dell’ananas. L’ananas? Ma che mi sta dicendo, ma lo fanno in Sicilia, in Liguria, in Veneto, in Romagna, grulli che non siete altro? E la gente ormai mangia senza frutta? No, amici, qui il fatto che siano capaci di spararti 5 euro (una volta a Roma 8!!!) per un piatto di frutta, non è la vera spiegazione. Il fatto vero è che quando si perdono le radici alla fine si perde anche la frutta e resta la papaya (grande, questa mi è venuta davvero bene!).

La seconda ragione per la quale amo la Romagna è che qui non hanno ancora compiuto l’operazione sterminio sui nomi delle persone; operazione indispensabile -come è noto- per il pieno trionfo della civiltà televisiva. Dove per un popolo intero esistono cento-duecento nomi e basta. Con Simona, Daniela, Luca, Roberto e Samanta in pole position. Io amo la Romagna perché il signore che è venuto ieri a prendermi a Bologna alla stazione dei pullman (in arrivo da Milano, con due ore di ritardo…) si chiamava Vinicio, Vinicio Chiari per la precisione, con fratello Walter (Walter Chiari, dunque). Perché quando ha cercato la moglie con il telefonino l’ha chiamata Elide (accento sulla E). Perché quando lo ha cercato l’assessore alla cultura, lui le ha detto "Ciao Alga". E infine perché chi mi ha lasciato nelle mani dell’albergatore gli ha detto "Ciao Eros". Fantastico. Io trovo fantastica una regione dove la gente ha ancora migliaia di nomi, tratti da centinaia e centinaia di storie locali ed esotiche, di leggende, di opere liriche. Qui la civiltà è parola dotata di senso. E in fondo dà un senso anche a quella massa umana in costume che giace al sole o si dimena in acqua dall’altra parte della strada. Come diceva Newton, non tutte le masse sono uguali. Il governo, dite? Be’, per ora mi rilasso.

Leave a Reply

Next ArticleGiornalista turca versus Italia. Bene brava bis