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Se fa carriera solo Ricucci
(Europa, 30 giugno 2007) – Allarme rosso. L’ ascensore che porta al piano di sopra i giovani di famiglia povera o da 27 del mese a lingua in fuori non va più. Si è fermato, è immobile. Forse è scappato perfino il lift. Nel suo discorso del Lingotto Walter Veltroni ha rilanciato un tema cruciale per le democrazie occidentali. Quello della mobilità sociale, linfa del progresso, prova del nove del principio di eguaglianza. Ha fatto bene. Perché in Italia la mobilità è diventata un’utopia. Tanto più bruciante quanto più le diseguaglianze tra ricchi e poveri si vanno allargando.
Tuttavia occorre trarre per intero le conseguenze di questa denuncia. Che non sono affatto lisce e facili per le culture e le ideologie del centrosinistra italiano. E nemmeno per gli interessi che si sono stratificati all’interno del suo "blocco sociale" di riferimento. E’ facile, certo, dedurne che bisogna aumentare il numero delle borse di studio per i più bisognosi; che queste borse devono essere di importi adatti a mantenere davvero agli studi i figli di un operaio o di una commessa; che il paese deve dotarsi di una rete di accoglienza per gli studenti universitari che li metta in grado di frequentare gli atenei più prestigiosi. Facile a dirsi, difficile a farsi (puntualmente) in condizioni di risorse scarse e in larghissima parte requisite da una montagna di vincoli e rigidità. Questo governo sta cercando di fare il possibile, anche con una certa dose di fantasia. Il bando per i diecimila posti letto in più per i fuori-sede è alla Corte dei Conti e diverrà operativo a settimane. La nuova legge per il diritto allo studio ridefinirà verso l’alto il livello delle prestazioni essenziali, inserendo tra i diritti appunto quello alla mobilità. Ma il discorso è più spinoso.
Perché i ricchi hanno le loro reti di protezione. Che funzionano. E bene. E di fronte a queste reti di protezione c’è una sola, vera arma che ha il più povero, o chi viene comunque da famiglie non abbienti. E questa arma ha un nome: merito. Un nome tabù (nei fatti) per molte delle culture che si sono incistate nel nostro senso comune. Eppure nessuna vera mobilità sociale è possibile se la società non premia, come recita l’articolo 34 della Costituzione, i "capaci e meritevoli", e non lo fa soprattutto con i bisognosi. Ciò ha riflessi sulle strategie di promozione del diritto allo studio (che devono premiare merito vero e reddito vero insieme) e ha poi riflessi anche sulle modalità con cui si gestiscono i passaggi iniziali, e decisivi, della carriera dopo la laurea.
Proprio giovedì scorso al Ministero dell’Università, nell’ambito del progetto "Ethicamente", si è tenuto un seminario con l’associazione dei dottori e dottorandi di ricerca. Tema: l’etica e la carriera. Ecco, proprio in quell’occasione è stato ribadito come la mobilità non dipenda solo dai sostegni finanziari. Ma anche dalle regole. Come vengono reclutati infatti i futuri cervelli della ricerca e dell’università? Con quale grado di apertura ai diritti che nascono dal merito individuale? Con quale trasparenza delle informazioni, anche per accedere ai fondi di ricerca? E una volta che si sia avuto accesso al dottorato, per chi si apriranno le porte della carriera universitaria? Certo (di nuovo) i soldi contano. Una precarietà infinita o borse da miseria terranno alla fine lontani coloro che non possono poggiare su solidi aiuti familiari. Ma occorre pure che le relazioni di amicizia, di potere e di scambio non abbiano modo di rivelarsi dominanti in alcun punto del cammino. Le procedure di trasparenza studiate dal governo per i prossimi bandi a posti di ricercatore sono una prima risposta. Importantissima. Ma c’è tutta una filiera lungo la quale occore muoversi con la massima velocità possibile. Da borse di studio che premino il più possibile i più meritevoli mettendoli in grado di studiare (si fa per dire) "come i figli dei ricchi"; alle procedure di valutazione; a quelle di selezione e accesso alla carriera. Fino al reperimento di risorse aggiuntive private (i famosi prestiti d’onore che solo in Italia sono visti come una jattura), in attesa che le casse pubbliche permettano standard di spesa più alti. Altrimenti resteremo il paese in cui l’unica mobilità sociale vera consentita è quella dei Ricucci. Il paese in cui è più facile passare in pochi anni da odontotecnico a immobiliarista-finanziere, che passare, in una generazione, da figlio di operaio a professore.
Pavlov
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