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Anniversari. Se trent’anni vi sembran pochi
Indovina indovinello. Qual è la notizia più importante del momento? La vittoria di Erdogan in Turchia? Acqua. La candidatura di Letta alla guida del partito democratico? Ancora acqua. L’ostilità di Parisi verso il sistema elettorale tedesco? Sempre acqua, fortissimamente acqua. Le intercettazioni della Forleo e il matrimonio improprio tra Ds e Unipol? Fuochino. E dico fuochino perché la parola chiave è esattamente quella: "matrimonio". Forse allora la notizia che oggi ho fatto trent’anni di matrimonio? Ma certo! Ma certo che è questa la notizia del giorno. Fuoco, fuochissimo. Correva il 1977. Le nozze vennero celebrate a Palermo, patria della sposa. Erano gli anni di piombo, perciò la chiesa era circondata da un nugolo di carabinieri e agenti in borghese. E d’altronde: quale occasione più ghiotta per i terroristi di una data e di un luogo annunciati con matematica certezza? Ottenni che la funzione religiosa si limitasse a una predica intelligente e così fu. Anzi, il prete prese perfino troppo alla lettera la richiesta e si produsse in un certo numero di citazioni colte. A un certo punto il flash della macchina fotografica di mio cognato Luigi scoppiò e ci fu uno sbandamento impaurito in tutta la chiesa.
Emilia era una ragazzina e mi fa tenerezza ancora oggi pensare a quanto fosse "piccola". Ma anch’io non scherzavo. Arrivai da Milano su una 850 coupé (ma sì…) e andai nel Belice a 20 all’ora a prendere il vino, che mi avevano magnificato ottimo e a buon mercato. Facemmo due cerimonie. Quella ufficiale, in cui mi limitai a baciare le signore che arrivavano e quando finii di farlo già iniziavo a baciare quelle che se ne andavano, così che non seppi mai come fosse la torta del mio matrimonio. Lì gli ufficiali dei carabinieri erano in uniforme da sera, con la giacca bianca. Ed Emilia, dal di dietro, li confondeva deliziosamente con i camerieri. Lo fece anche con il povero colonnello Russo, che ne sorrise; la mafia lo avrebbe ucciso a Corleone nemmeno un mese dopo. Poi ci fu la festa vera, con tutti gli amici. Di notte, sulla riva del mare vicino Capaci, con sarde alla griglia e il celebre vino del Belice, appunto. Era venuta anchela Gianna , la signora che rifaceva i letti al pensionato Bocconi, che mi voleva bene quasi come una madre, la donna che con la sua azione mi aveva insegnato che cosa sia il sindacato quando si occupa (bene) di cose serie: le ragazze assunte e licenziate in estate a quattordici anni, le giovanissime cameriere senza diritti, nemmeno quello di andare al cinema con uno studente. A Gianna ho dedicato, per gratitudine, un capitolo del mio "Storie eretiche di cittadini per bene". Oggi, trent’anni dopo, la prima telefonata di auguri è stata la sua. Dalla Svizzera, dove ora vive con la figlia. Mi ha detto: non litigate, tenetelo su questo governo. Da questo Blog mando un abbraccio a lei che non ne saprà mai niente.
In ogni caso le lettrici stiano tranquille. Ho portato Emilia fuori a cena, in un ristorante che le ricorda la sua città. Non è successo come con le nozze d’argento. Quando la poverina venne a Roma in festa, mi aspettò per ore fuori dal Senato e io le comunicai che non potevo uscire perché dovevo dare il via all’occupazione della commissione Giustizia contro la legge Cirami, nella notte che poi avrebbe scatenato i girotondi e avrebbe portato al milione di persone a piazza San Giovanni nel settembre successivo. Così andò. E un giorno, mentre facevo non so quale gazebo, trovai una giovane e combattiva signora che mi disse "voi politici siete tutti uguali". Io le risposi: ma perché dice così? E lei volle inchiodarmi per sempre e senz’appello: ma perché, lei dov’era quando è arrivata la legge Cirami?
Nando
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