Ostellino. Se la legge è il comunismo

E’ colpa mia. Non c’è dubbio, è colpa mia se ogni tanto per eccesso di spirito liberale mi trovo a pensare che Piero Ostellino (opinionista del Corriere) possa avere ragione e sono perfino tentato di farglielo sapere via mail. Non dovrei mai dimenticarmi che, giusto giusto vent’anni fa, era lui il direttore del Corriere che, per interposto Sciascia, attaccava i professionsiti dell’antimafia (Borsellino) o dipingeva i familiari delle vittime come "una nuova, più nobile mafia". Ostellino in questi giorni sta spiegando magistralmente che cosa sia il comunismo per lui e per Berlusconi: è la legge; semplicemente, tragicamente, la legge. Come ho avuto modo di dire stamattina a Napoli, dove sono andato a sostenere la candidatura di Rosy Bindi a segretaria del Partito Democratico (oh yes), la questione della legalità non riguarda solo il sud. Ma riguarda questo nord che butta fumo dalle narici se solo sente parlare di regole e di leggi. O abbiamo dimenticato che il più massiccio attacco all’idea di legalità lo ha sferrato per cinque anni interi il governo più lombardo della storia dell’Italia unitaria? E ora ecco, da Milano, mister Ostellino. Il quale, verosimilmente imbelvito per una multa presa con l’autovelox, è preso da un tipico delirio anarcopadronale. E straparla di autovelox come strumento della nuova lotta di classe, come perfido mezzo per dare soddisfazione all’invidia verso i ricchi e le loro auto di grossa cilindrata. Il ministro dei trasporti Alessandro Bianchi gli ha scritto una (garbatissima) lettera sul Corriere per fargli notare che in un qualsiasi paese civile esistono i limiti di velocità. E lui, invece di vergognarsi per le castronerie propalate a piene mani e abusivamente sul suo giornale, si è messo pure a rispondere con modi professorali, sciorinando le espressioni che usa sempre in queste occasioni, convinto com’è che basti la parola a fare il ragionamento: "empiricamente verificabile", "elaborare una teoria politica", "giustificazione di diritto positivo". Ma mi faccia il piacere, avrebbe detto Totò. Comunque non la faccio lunga. Alla fine il nostro sostiene che dietro il principio di precauzione che origina le leggi sui limiti di velocità stanno "tutti i regimi totalitari". Per poi sfornare il capolavoro dei capolavori (alzarsi in piedi, prego): "Punendo chi supera i limiti, non si punisce un’azione colpevole di danneggiare qualcuno, ma solo il mancato rispetto di una norma". Magnifico, sublime. Benebravobis!

Che ne dite? E che ne dite, a proposito (o a sproposito, non lo so), del deputato cattolicissimo che va in una suite di via Veneto con una squillo e ci racconta che pensava che fosse un’avventura (è arrivato Mastroianni…) e invece doveva pagare, ma in realtà non l’ha pagata, le ha fatto solo un regalino in denaro, e quella -ingrata- si fa di cocaina a sua insaputa e lo mette pure nei guai? Eh, anche lì, che ne dite? A volte penso che il confine tra destra e sinistra stia non nella immacolatezza degli ideali, e nemmeno nella onestà personale, ma nella sfrontatezza. Nella pretesa che gli altri ci credano anche quando diciamo le più solenni c…ate. Che è una pretesa dei tiranni, a pensarci bene.

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