Regole civili e tolleranza zero

A gentile richiesta, ho scritto questo intervento sulla questione dei lavavetri per il Blog di Rosy Bindi.


Cara Rosy, la questione dei lavavetri e delle relative ordinanze a tolleranza zero ci costringe tutti a qualche riflessione supplementare. Sulle tradizioni culturali della sinistra e dei cattolici davanti alla sicurezza; sulla efficienza quotidiana delle forze dell’ordine (polizie muncipali incluse) nel controllo del territorio; sulla percezione che una persona qualunque, italiana o straniera che sia, ha di ciò che è possibile e normale nel nostro paese.

Anzi, direi che è bene partire da qui. In un convegno internazionale, alcuni anni fa, Gaetano Pecorella (ma sì…) disse che se lui fosse stato un delinquente e avesse dovuto scegliere il paese in cui vivere, fatto un confronto tra le varie legislazioni e le varie procedure giudiziarie, avrebbe scelto l’Italia. Un parere autorevole. Vero, evidentemente, per ogni gradino dell’illegalità. Per i grandi evasori fiscali, per i grandi mafiosi. E, giù giù, fino a chi campa di espedienti abusivi, sfruttato da altri o in proprio. E infatti se uno va nelle altre grandi capitali europee, da Londra a Parigi, da Madrid a Lisbona, che governi la destra o governi la sinistra, non trova praticamente né i lavavetri né le forme di accattonaggio di massa delle nostre grandi città. E allora quel che va detto è che questo è anzitutto un problema di forme del vivere civile, visto che anche lì ci sono immigrazione e povertà. La prima volta che vidi dei signori che facevano i lavavetri organizzati a Milano fu alla fine degli anni ottanta. Due uomini giovani e molto ben piazzati fisicamente lavavano i fanali (i fanali!) delle auto ai semafori. Chiesi esterrefatto in giro chi fossero. Mi venne risposto che erano i polacchi. E io ho sempre pensato dove i polacchi potessero avere imparato (non certo nella Polonia comunista) a campare in quel modo. Chi glielo avesse insegnato. Perché lo ritenessero possibile; soprattutto perché ritenessero di poterlo fare in quel modo così "deciso" nel centro di Milano senza che nessuno gli dicesse niente.

Il fatto è che "da noi si può". E’ questione di civiltà. Non è civile dovere avere contenziosi a ogni angolo, spiegare che hai già dato le tue monete a quello del semaforo precedente, pagare una specie di tassa sulla sosta in pubbliche piazze, quelle turistiche o quelle più affollate. Ci siamo abituati non solo perché siamo tolleranti, ma – direi soprattutto – perché siamo assuefatti al vivere non civile, a ogni livello: dal posteggiatore abusivo al venditore di "servizi" nei pubblici uffici alle costruzioni abusive sulle spiagge.

Per questo, cara Rosy, mi dà un po’ fastidio il dibattito sulla tolleranza zero. Primo perché indica ai cittadini una specie di bersaglio sociale; secondo perché all’annuncio seguono i fatti di una settimana (vedi Milano), poi tutto continua come prima salvo l’ideologia rancorosa che rimane; terzo perché si parte sempre con i piccoli. Prendi in mano, per il Partito Democratico, la questione della civiltà della nostra vita quotidiana. Delle regole che ci aiutano a star meglio. Sarà un grande passo avanti sul piano politico. E anche per l’Italia.

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