L’ottavo re di Roma

Lo sapete chi era l’ottavo re di Roma? No? Se non lo sapete avete davvero una cultura così così. Cultura calcistica, intendo. L’ottavo re di Roma, segnatevelo, era soprannominato Amedeo Amadei, centravanti che in serie A segnò più di centosettanta gol pur dovendo restar fermo, giovane e forte, durante gli anni della guerra, in cui i campionati, dopo il ’42, vennero sospesi. Giocò nella Lazio, nella Roma (dove diede il meglio di sé), nell’Inter del dopoguerra e nel Napoli. Io lo incontrai su una figurina che ero bimbetto proprio con la maglia del Napoli. Credo che vi giocasse quando tra gli azzurri era appena arrivato Vinicio, e che avesse giocato anche con Jeppson, non saprei, devo controllare, ero davvero troppo piccolo per disporre di nozioni scientifiche sull’argomento. Di sicuro giocò in nazionale e di sicuro esordì in serie A a quindici anni, più giovane di Rivera e di Paolo Maldini. Be’, non ci crederete, ma Amedeo Amadei esiste, è ancora vivo. Ha ottantasette anni e io l’ho conosciuto. Me lo sono trovato a fianco durante un breve passaggio all’ambasciata ungherese a Roma, dove Luigi Bolognini, eclettico giornalista di Repubblica, presentava "La squadra spezzata", il suo bel libro sulla grande Ungheria di Puskas di cui ho già parlato su queso Blog. Sono arrivato un po’ in ritardo (conferenza Stato-Regioni…), sono entrato in sala e al tavolo ho visto accanto a Luigi due anziani signori che a ogni evidenza non mi conoscevano benché fossi stato annunciato e debitamente presentato al mio ingresso. Uno di loro era Amadei! Quando l’ho saputo, dopo avere ascoltato i suoi ricordi mentre scorrevano le immagini dello storico,  favoloso Inghilterra-Ungheria (3-6), non ho resistito. Come farsi sfuggire una simile occasione? L’uomo della figurina di cartone, l’attaccante di cui avevo solo sentito favoleggiare, l’ottavo re di Roma era lì e io non mi dovevo far fare l’autografo? Ma me lo sono fatto fare sulla intestazione interna della mia agenda governativa! Mi ha chiesto come mi chiamassi. Gliel’ho ridetto, dopo che il conduttore l’aveva già detto due volte, passandomi la parola mentre lui continuava a spiegare quanto ci aveva goduto per quella sconfitta interna degli inglesi che si sentivano gli dei del calcio. Alla fine ha deciso che il cognome era troppo difficile e mi ha scritto "A Nando, con tanti auguri per ogni suo desiderio, Amedeo Amadei", in bella grafia, con la mano tremante, di cui mi ha chiesto scusa procurandomi un leggero senso di colpa per il mio entusiasmo.

L’anziano accanto a lui, volete sapere?  Era un profugo ungherese che aveva passato cinque anni in carcere a Budapest per le sue opinioni. Parlando di calcio e di Puskas ha detto una cosa che mi ha colpito come poche altre testimonianze: in carcere ci mancava tutto, ha raccontato, ma ci davano dell’ottima carta igienica; volevano evitare che usassimo i giornali; avevano comunque paura che li leggessimo. Eccole qua, le dittature sorte sul sol dell’avvenire…

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