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Malinconico blues. E per fortuna che è democratico
Domenica malinconica, amici blogghisti. Avrei voluto raccontare qui (con colpevole ritardo) alcune delle tante cose fatte in questa settimana. O almeno quelle fatte in un venerdì pieno, con la visita alla caserme milanesi per studiare quale possa avere i requisiti per diventare la nuova sede di Brera. E la scoperta di luoghi militari ben tenuti, lontani dalle immagini stereotipe, di ufficiali estremamente disponibili e preparati (lo so, essendo nato in caserma io non sono attendibile, ma Gabriele Mazzotta, l’editore di libri d’arte e nuovo presidente dell’Accademia, è rimasto di stucco e l’ha ripetuto per un’ora). Oppure la serata rigeneratrice con gli studenti del collegio San Paolo di Milano, dove – fra l’altro – ho misurato quale problema rappresenti per i ragazzi l’idea dei test d’accesso a medicina. Occorrerà dare una sistemazione teorica alla materia, in tutte le sue implicazioni.
E soprattutto, pensate: fino alle quattro di ieri pomeriggio, sabato 27, avrei voluto parlare del partito democratico, di quanto sia stato bello vedere quell’assemblea costituente con tanti volti giovani e zeppa di donne. Ho detto "zeppa". In realtà erano il 50 per cento. Ma rispetto alle abitudini politiche, specie della maschilissima Margherita, o ai numeri del parlamento, erano tante, sembravano straripanti. Come passare da una caserma (quelle d’una volta, s’intende) al mondo vero. Vedete un po’, dico ai miscredenti, che le quote servono a qualcosa? Anche se appena arrivato sono stato catturato proprio da un gruppo di donne per una firma: pare che in giro stiano chiedendo a un po’ di elette di dare le dimissioni per fare subentrare i maschi che erano in lista al posto dopo. E la firma serviva appunto a sostenere il principio (sacrosanto) che a donna subentra donna. Perché il lupo perde il pelo ecc. Ho firmato.
E proprio perché il lupo perde il pelo ecc. ora non mi va di raccontare le cose belle di ieri. Perché il finale è come se le avesse accoltellate tutte. Dopo le quattro, dopo i bei discorsi del mattino, le emozioni della diciottenne che interviene contro l’antipolitica, dopo un po’ di cose che avevano quasi mandato in paradiso chi – come me – sognava da anni una giornata così, tutto si è trasformato infatti in una manciata di secondi. Veltroni, consigliato chissà da chi, ha preso dei fogli e ha iniziato a leggerli a rotta di collo senza che nessuno capisse o potesse vedere che cosa stava leggendo. Erano le regole. Le regole transitorie del partito democratico. Quelle che l’assemblea ("costituente") avrebbe dovuto discutere e approvare per l’intera giornata. Tirate fuori all’insaputa di tutti mentre la gente già sfollava. Nessuno di questa assemblea "costituente" (ecco perché potevano esserci anche i ragazzi e le donne…) ha potuto dire "bah". Né è stato previsto lo spazio per alcun intervento, almeno per chi fosse riuscito a capire qualcosa di quella lettura a perdifiato. Nessuna votazione per parti separate, visto che le regole erano tante ed eterogenee. Prendere o lasciare. I delegati sono rimasti di sasso. Poi sono stati chiamati a votare. Come non si vota nemmeno in un consiglio d’amministrazione, provate voi a far votare gli amministratori di una banca senza dar loro in mano uno straccio di pezzo di carta con su i progetti e le cifre da approvare o da respingere. Così come, posso dirlo?, non ci si sarebbe mai sognati di far votare i militanti nel vecchio partito comunista. Ho votato contro; anche contro le cose che mi facevano felice, tipo l’inserimento di mia sorella Simona o Lidia Ravera nella commissione per il codice etico del partito, con De Mita piazzato non mi ricordo dove tra i fischi dei delegati. Per questo la malinconia domenicale, accompagnata in questo momento dalle note di Battiato che reinterpreta una vecchia canzone di Dino ("Te lo leggo negli occhi"), il cantante degli anni sessanta dagli occhi fascinosi, amico di Gigi Meroni. Ma reagirò, sì che reagirò, il Partito democratico è troppo importante. Per tutti…
Nando
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