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L’Unità in vendita. La storia non siamo noi
Questa storia dell’Unità che finisce in vendita agli Angelucci, famiglia pugliese di costruttori e proprietari di cliniche private, non mi piace. E penso che dovrebbe allarmare un po’ di più la nostra opinione pubblica, sempre tanto sensibile a ciò che accade nel mondo dell’informazione. Insomma, qui dichiaro che non ho nostalgia per l’Unità giornale di partito, anche se penso che si sia trattato di una storia grandiosa, con il milione e passa di copie vendute dai militanti nei grandi giorni delle feste politiche e civili, e con quei festival che nel tempo sono diventati il più grande evento politico-culturale del paese. E aggiungo pure che forse non mi affascina più di tanto (se non sotto il profilo storico) il fatto che sia il giornale "fondato da Antonio Gramsci". Però so che la nuova Unità, quella diretta da Furio Colombo e Antonio Padellaro, è stata uno dei perni dell’opposizione a Berlusconi in un periodo difficilissimo, quando tutta l’informazione televisiva era nelle mani del capo del governo. So che senza l’Unità (alla quale mi onoro di avere collaborato e di collaborare) l’opposizione politica sarebbe stata molto più debole. Perché il giornale raccontava, denunciava, ospitava voci bandite dai quotidiani maggiori, saldava istituzioni, partiti e movimenti. Oggi, alla faccia dei suoi meriti, pare in vendita. E se lo è, è perché a livello politico si è deciso che "la cosa si può fare". In vendita, attenzione, non a un gruppo editoriale progressista o "puro", ossia senza altri interessi da scambiare. Ma a un gruppo che gli interessi ce li ha, e in settori che hanno molto bisogno delle autorizzazioni pubbliche, dunque con materia ghiotta da scambiare. Di più. Un gruppo che controlla "Libero" e il "Riformista". "Libero", capito? Metto in fila: Puglia, Riformista, cliniche private, aree edificabili, Libero. Morale: basta avere i soldi e si compra un simbolo della storia politica nazionale. E forse c’è dell’altro. Perché la famiglia Moratti, che aveva espresso un’intenzione di acquisto e i soldi li aveva pure lei, chissà perché è stata respinta con perdite.
In ogni caso un fatto mi sembra assolutamente evidente. Qui si sta ripetendo l’errore (micidiale) del ’96-’97. Quando si decise che l’Unità era una palla al piede. Che si faceva una fatica boia a mantenerla, mentre si poteva andare gratis da Costanzo e da Vespa e parlare a un pubblico cento volte più numeroso. E che poi c’era Repubblica. Era un calcolo miope. Che funzionava (e solo in parte) finché si era al governo. Invano io e qualche altro facemmo notare che se fossimo tornati all’opposizione con un quotidiano in meno sarebbe stata una bella legnata. Da Vespa saremmo andati a fare i figuranti e il principale giornale di opposizione non ci sarebbe stato più. Per fortuna l’Unità rinacque, grazie all’editore Alessandro Dalai, e a un paio di sponsor interni ai Ds. E i girotondi, e i movimenti, e i lettori che volevano certe notizie e certi commenti trovarono un interlocutore essenziale. Ora, riandati al governo, ci risiamo. Possibile che la storia non insegni niente? Come sempre, bisognerebbe non stare a guardare.
Nando
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