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Partito democratico. DOMANDE A VELTRONI
(l’Unità, 2 novembre 2007) – Caro Walter, ho sognato per anni, come te, la nascita del partito democratico. E nel tempo ho pure, mi sembra, registrato un’alta affinità con te sui temi e sui valori che avrebbero dovuto caratterizzarlo. Perciò ho atteso la giornata di sabato scorso, quella della prima convocazione dell’assemblea costituente del nuovo partito, come una grande, indimenticabile giornata di festa. Coronamento di tante speranze, di tante biografie, di tanti ideali quotidianamente vissuti. E ancor più l’ho intesa come festa quando un colpo d’occhio mi ha materialmente rivelato l’Italia che in quella assemblea si riassumeva. Molte facce giovani e soprattutto una quantità di donne mai vista in un organismo politico; lezione magistrale – quest’ultima – per chi continua a opporsi al vituperato principio delle quote. Emozione ed entusiasmo sono via via progrediti lungo i tornanti del tuo discorso. Il valore supremo della democrazia, le primarie per tutti gli incarichi importanti, la qualità delle persone sopra le fedeltà di partito, il pericolo degli otri vecchi per il vino nuovo, le coalizioni omogenee, l’importanza di decidere, la fine del famigerato "partito delle tessere". E altro ancora, che scaldava me e le persone (a me quasi tutte sconosciute) che mi sedevano accanto. Poi, d’improvviso, le fasi conclusive dell’assemblea. Alle quali, ora che il loro effetto sul mio stato d’animo si è stemperato, voglio riandare non per polemica, ma per senso di un dovere politico, e prima ancora, forse, per amore del partito democratico che ho sognato per quasi vent’anni; per non dovermi rimproverare in futuro di non avere fatto tutto quanto potevo perché questa grande esperienza politica fosse all’altezza delle speranze da cui nasce e che ha generato.
Rimetto in fila quel che è accaduto. I "costituenti" non hanno saputo in anticipo se e quando si sarebbero dovute votare delle regole (sia pur transitorie), tanto che quando si è votato molti di loro si erano già rimessi in viaggio verso casa. I "costituenti" non hanno ricevuto né i giorni prima per posta elettronica né il giorno stesso a mano un documento scritto con le regole da approvare; regole che, forse per qualche "sforamento" dei tempi, sono state da te lette alla velocità della luce. Non è stato previsto alcuno spazio istituzionale per confrontare le opinioni su quelle regole, che è poi la missione di una assemblea "costituente" (la quale soprattutto di regole e di costruzione di regole è chiamata a parlare). Infine quelle regole, assolutamente eterogenee tra loro, e comprensive anche delle liste delle tre commissioni, sono state messe ai voti in blocco. Prendere o lasciare, tutto insieme, e senza avere la possibilità di leggere e valutare. Lo so, riassunto così suona male. Ma così (purtroppo) è andata. Ed è esattamente questo che ha provocato in molti un’amarezza collettiva, un disagio vero. Perché è come se il tuo intervento del mattino (ma anche la tua riflessione pomeridiana) fosse stato contraddetto e rovesciato in pochi attimi, ribaltando di colpo il senso di quello che fino a quel momento avevamo visto, sentito e -anche- interiormente vissuto. Come se avessimo scoperto un partito democratico poco innamorato della democrazia. Quello del candidato unico, delle liste bloccate e dei dieci euro per voto.
Eppure…Eppure io credo di conoscerti abbastanza bene. O meglio: di conoscere abbastanza bene la tua cultura. Di sapere che nella democrazia ci credi, senza fare sconti ideologici a nessuno (e le tue ultime dichiarazioni sul regime di Pol Pot lo confermano una volta di più). Di sapere che sai fondere le ragioni della politica e della cultura come pochissimi, il che per la democrazia è sempre una eccellente garanzia. Di sapere che credi davvero nel bisogno di rinovare i partiti, specie là dove essi hanno presentato e presentano il loro volto più clientelare e affaristico. E ho sempre pensato che fossi tu la persona giusta per traghettare nel partito democratico i differenti popoli di Ds e Margherita. Pensiero, come sai, condiviso da tanti ulivisti anche a partire dal ruolo da te avuto nella nascita dell’Ulivo di governo. Pensiero, e te l’ho scritto privatamente, che ho conservato anche quando per ragioni "di sistema" ho scelto di sostenere la generosa battaglia di Rosy Bindi, utile a rendere le primarie un vero e grande esercizio di democrazia e a mettere in discussione le logiche di apparato che si muovevano, a mio avviso, al riparo della tua candidatura.
Bene. E’ esattamente questa consapevolezza di ciò che puoi dare all’Italia e al centrosinistra che mi porta a scriverti pubblicamente. Perché lasciare quel retrogusto amaro a chi è venuto con gioia a salutare qualcosa che è stato a lungo atteso, soprattutto da chi non militava nei partiti? Nell’assemblea costituente, e lo hai visto, c’era davvero molta società civile disposta a dedicarsi alla politica: associazioni, professioni, università, sindacato, studenti e altro ancora. Una freschezza da fare (finalmente) schiattare d’invidia il centrodestra. Ma quella società civile è abituata a una nozione semplice e chiara di democrazia. Che nasce e si forma per culture e regole. Essa sa come si discute e si decide. Nei consigli di facoltà, nei consigli di fabbrica, negli ordini professionali, nelle associazioni di volontariato, perfino nei consigli d’amministrazione. E non può accettare che la politica sia il luogo in cui c’è meno democrazia che nella società civile, dove pure si fa, si sceglie, si innova, si decide ogni giorno, e con tempi tanto più celeri di quelli della politica. Né, a proposito di nuove energie, si può comunicare ai giovani e alle donne dell’assemblea il messaggio (deprimente) che se essi per la prima volta sono lì in tanti è semplicemente perché lì nulla si discute e si decide.
Questa, caro Walter, è un’immagine, una sensazione, che va corretta subito. E che solo tu -meglio: soprattutto tu- puoi correggere, costruendo le vie di una partecipazione efficiente. Perché altri ti diranno che così va bene, che se non si fa così non si decide più niente, che la gente va messa davanti al fatto compiuto, che la democrazia è poesia ma la politica vera è un’altra cosa, e insomma ti sforneranno tutto il repertorio che è maturato in decenni di "sapienza del potere" dentro gli apparatnik della politica, quella degli otri vecchi, appunto. Conosco bene il distillato di autoritarismo (dal lontano ascendente staliniano) e di astuzia levantina che esce da quegli otri. E non ha nulla a che fare con l’idea di democrazia che hai proposto e che, a meno di un abbaglio colossale, sono certo che tu intendi realizzare. Oggi sulle sorti del partito democratico si apre un confronto vero. Tra chi spera di convincere gli elettori ripetendo per la sesta o settima volta la cantilena che si tratta non di "un nuovo partito" ma di "un partito nuovo", e chi con gli atti, con le scelte, con le procedure, con le persone, con le culture, vuole offrire un’idea bella e convincente di politica. Che è poi l’unico modo per sconfiggere la cosiddetta antipolitica e la crisi di fiducia che logora le istituzioni elettive.
Lo so perfettamente. Essendo tu il segretario di tutti, non potrai ignorare le ragioni di nessuno. Ma quel che hai detto mi fa sperare che tu voglia prendere su di te soprattutto le ragioni di chi vuole cambiare, comprese quelle di chi -e torno per un attimo alle origini della candidatura di Rosy Bindi- non ha sostenuto le tue liste ma sarebbe certo in prima linea nel sostenere le idee che hai espresso con tanta forza suggestiva nel mattino di sabato scorso.
Ti chiedo insomma, con fiducia, di avvertire sempre di più e ancora di più la responsabilità che ti viene dall’essere il primo segretario del primo "partito democratico" italiano, il protagonista di una esperienza grande e a lungo attesa. Una responsabilità immensa, con riflessi sul nostro futuro, sulla credibilità della politica (e delle sue promesse), sulla nostra pratica della democrazia. Non perché immagini che tu questa responsabilità non la senta; ma per sottolineare il prezzo che la tua difficilissima missione potrebbe pagare sull’altare degli otri vecchi, di quegli apparati per i quali le regole fondamentali della democrazia sono, in fondo, una variabile dipendente. Perché di una cosa sono certo: questo progetto deve correre; ma trarrà la sua velocità non dalla mortificazione della democrazia interna, quanto dallo slancio e dall’entusiasmo di milioni di cittadini convinti finalmente di poter cambiare e di poter contare. Nel Paese e nel partito.
Nando
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