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Milioni di milioni. Il signor B., le mense e i Savoia
Milioni, milioni, milioni. Come gli otto (milioni) che avrebbero firmato contro la caduta del governo Prodi e per riportare il signor B. al governo dell’Italia. Intendiamoci: gli otto milioni che vorrebbero rimandare a casa Prodi e rimetterci al suo posto il signor B. in Italia ci sono tutti, e ce n’è anche il doppio e forse più del doppio. Ma che siano state raccolte le loro firme in pochi giorni nei gazebo d’Italia mi sembra una fandonia megagalattica, pur se uno strano bon ton impedisce, a quanto pare, anche solo di ipotizzarlo. Otto milioni ha detto e otto milioni sono. Ma dico, fatte salve certe piazze di poche città, e in particolare piazza San Babila di Milano dove il signor B. (a detta di Confalonieri) ha rievocato Lenin con il suo arringar la folla dal predellino dell’auto, fatte salve queste piazze appunto, ma chi ha visto un gazebo con folle in fila per firmare? Chi ha visto baristi, operai, partite Iva e signore impellicciate sgomitare per apporre la propria generosa firma sotto l’ambizioso e originale progetto? Che conteggio è mai quello che si fa sugli sms e sulle telefonate? Otto milioni? Bum! E questa, pensateci bene, questa fantomatica sollevazione di popolo sarebbe alla base della svolta del signor B., della svolta che cambierà l’Italia “per i prossimi decenni”. Il guaio è che la virtualità è la vera regina della nostra Repubblica. E alla frottolona della spallata ha fatto seguito un’altra frottolona, anch’essa regolarmente presa per buona.
Milioni. Duecentosessanta ne chiedono i Savoia -Vittorio Emanuele ed Emanuele Filiberto- come indennizzo (“riparazione”) per il loro esilio. Li chiedono allo Stato italiano che a mio modesto avviso dovrebbe prendere qualcuno di loro a modici e amichevoli calci nel sedere. Troppo grande, evidentemente, pensano sia stata l’ingiustizia patita. E se i discendenti dei morti e dei dispersi in guerra chiedessero il conto anche a loro? Per esempio il mio amico Augusto Bianchi, che rimase orfano di padre a un anno e ora a suo padre ha dedicato un libro bello e struggente (“Albanaja”, distorsione di Albania inventata da chi ci andò a combattere), che è poi il toccante diario di guerra che il figlio ha conservato per decenni a rispettosa distanza? E se chi ebbe i familiari uccisi o imprigionati dal fascismo al potere decidesse di fare una bella causa alla dinastia che tutto rivendica? A me quando l’hanno detto è scoppiato da ridere, di cuore. Poi ho incominciato ad arrabbiarmi, altrettanto di cuore. Questo serva da lezione a chi troppo facilmente ha sdoganato Emanuele Filiberto perché è “giovane e simpatico, non è mica come il padre”. Telchì l’erede, sempre per riprendere Aldo Giovanni e Giacomo.
Milioni. Sei milioni sono i pasti che vengono serviti nell’anno dalle mense universitarie italiane. Più di uno, ossia un sesto del totale, viene servito solo a Padova. La nuova mensa, da quattromila pasti al giorno, l’ho inaugurata questa settimana. Riflessioni sul diritto allo studio? Ve ne faccio una, elementare. Quando in questi servizi si investe (questa mensa non è “esternalizzata”) tutto ciò che viene dato agli studenti ha più valore. Perché se io a un fuorisede gli do una borsa e poi gli dico “e ora spendila come vuoi” (che è una dottrina che serpeggia) è come se gli dessi la metà o un terzo. Ristoranti e affittacamere gli porteranno via tutto in tre mesi. Se invece gliela do e poi gli offro altri servizi, non solo difendo il suo potere d’acquisto, ma è come se glielo aumentassi. A Padova con ottocento euro uno studente assegnatario della borsa di studio può mangiare tutto l’anno alla mensa. E nelle mense universitarie della città i sondaggi tra gli studenti danno un voto alla qualità intorno al4, in una scala che va da 1 a 5. Non solo: quello studente con 1300 euro dorme in una stanza doppia. Morale, dell’importo annuo di 4.500 euro, gli restano circa 7 euro al giorno. Non scialacqua, è chiaro. Ma può permettersi anche il caffè, il giornale e le piccole cose. Non fatemi gli esempi della Francia o degli Stati Uniti, li conosco. Voglio solo dire che in certi contesti da jungla la borsa di studio non basta neanche a sopravvivere. Dove ci sono reti di servizi e opportunità, sopravvivere si può. E la differenza non è poca. Anche per la qualità della vita collettiva.
Nando
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