Anche i magistrati sbagliano

(l’Unità, 5 dicembre 2007) – È imbarazzante. Di più: è sgradevole dirlo. Ma un magistrato coraggioso non ha sempre ragione. Ha ragione a chiedere che l’opinione pubblica lo sostenga nella sue indagini o nei suoi atti; che ne sappia apprezzare il coraggio e la schiena diritta; le doti, insomma, che ne fanno altra cosa dai magistrati pavidi, servili o insabbiatori. Ma non può chiedere per questo, come in un pacchetto di “prendere o lasciare”, l’approvazione di comportamenti che violino i suoi doveri di misura e di riservatezza. Che offuschino l’immagine della sua imparzialità o del suo equilibrio valutativo. Perché se esiste il principio che ci si debba rifare, in ultima istanza, al “libero convincimento” del giudice, ciò è perché quel libero convincimento deve essere e apparire davvero, e fino in fondo, scevro da pregiudizi.

Un magistrato che sceglie la strada del coraggio deve sapere che quella strada aumenta le sue responsabilità in ogni direzione, anche quella dei gesti che fa e delle parole che dice al di fuori degli atti giudiziari.


Perché la credibilità del suo operato – proprio in quanto coraggioso e fastidioso per il potere o alcune sue nervature – dipenderà in modo perfino ossessivo anche da quei gesti e da quelle parole. E deve sentire la responsabilità di avere imboccato una strada che chiede, proprio al servizio della legge, un “di più” di freddezza, di asetticità. Non è giusto, in fondo. Ma è così: le scelte importanti devono sempre essere accompagnate dalla consapevolezza della loro importanza.

Certo, è vero. Non si può chiedere a tutti i magistrati di essere Falcone o Borsellino, di avere la loro stessa eccezionale, eroica freddezza nei momenti dello sconforto e dell’isolamento; o la loro indimenticabile misura (anche nelle interviste) mentre subiscono gli attacchi più insidiosi, ai loro processi o alla loro stesso incolumità fisica. Ma altrettanto, e con ragioni ugualmente fondate, non si può chiedere a noi di paragonare a Falcone e Borsellino chi non ha le loro altissime qualità professionali, le loro doti di temperamento e di responsabilità verso il ruolo istituzionale ricoperto.

E tuttavia, va aggiunto, un magistrato che sbaglia nella misura e nella riservatezza non diventa necessariamente un cattivo magistrato, un reietto da emarginare. Non lo diventa, per lo meno, più di chi insabbia e più di chi oltrepassa la misura e viola i doveri di riservatezza avendo cura di non infastidire il potere. Perché se lo diventa “di più” bisogna pensare che non gli si voglia solo contestare un difetto di equilibrio nel ruolo, una carenza nella capacità di fronteggiare le difficoltà ambientali e gli attacchi esterni. Ma che gli si voglia far pagare il coraggio, la scelta di imboccare quella strada difficile e accidentata che porta a misurarsi con le reazioni del potere, pur senza avere tutti i (rari e preziosi) requisiti per percorrerla fino in fondo con sapienza e temperanza.

Così come va aggiunto che se un magistrato non rispetta la misura o doveri di riservatezza e di ruolo istituzionale al di fuori della sua attività giudiziaria, ciò non annulla la sostanza dei suoi atti. Non li vanifica, non li riduce a montatura o a bugia. Se egli trova prove, scopre indizi, produce trascrizioni di intercettazioni, essi resistono al di là dei suoi errori e dei suoi sfoghi. Sicché i suoi errori di misura non assolvono nessuno, non cancellano la storia su cui egli ha indagato. Non assolvono la politica, insomma.

È pilatesco mettere insieme, e chiedere di tenere insieme, queste elementari proposizioni? Tenerle insieme risponde forse alla volontà di evitare di schierarsi – o di qua con i magistrati o di là con la politica – o non risponde piuttosto alla responsabilità  di schierarsi dalla parte oggi più difficile, ossia in quell’area che nulla vuole concedere all’illegalità e ai suoi habitat (più o meno consapevoli) ma che, al tempo stesso, chiede a tutti di rispettare regole scritte e non scritte, chiede a tutti di non collaborare a questa ventata di demolizione delle forme istituzionali che rischia di trasformare il nostro spirito civico in una terra di nessuno?

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