Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
Regali di Natale e ballate irlandesi
Eccoci qui, finalmente a casa. Si cambia. E’ arrivata la sospirata parentesi nella vita da zingaro a cui mi sono dato, politica o non politica, da un quarto di secolo. Il Natale è il mio polmone. Il periodo dell’anno in cui riprendo il contatto fisico con le mie cose, riscopro i miei libri, ritiro fuori i miei cd ascoltati non più di dieci volte (ora sta andando una splendida antologia di ballate irlandesi, la davano per mille lire con un numero di "Avvenimenti" tanti anni fa). E’ il periodo in cui scrivo i miei libri, o almeno la loro prima stesura. Sarà così anche quest’anno. Editore Einaudi, testo frastagliato, apparentemente disordinato, dalla forma originale assai, ho visto qualcosa del genere in un lontano libro di Erri De Luca. A mezzo tra racconto e riflessioni. Materia segreta, oh yes. Insomma, è il momento del raccoglimento, del confronto ravvicinato e silenzioso con i propri progetti e problemi, a cui mi dedico però -sempre- solo dopo il compimento del rito più alto dell’occasione: il presepe. Proprio così. Il presepe ha in casa mia tradizioni semisecolari, con statuine che si aggiungono ogni anno alle altre; stare spesso a Roma mi ha consentito -e diciamolo…- di acquistare le statuine di terracotta di piazza Navona e di mettere al bando la plastica da uno scenario di diversi metri quadri e che già poteva contare sul repertorio della mia infanzia, con scale in sughero e case in cartone fatte a mano da mio padre.
Dei miei ultimi giorni romani (intensissimi) mi porto la soddisfazione, immensa, di avere visto approvare finalmente dal Consiglio nazionale dell’arte e della musica i nuovi ordinamenti didattici di conservatori e accademie. Ah, che bello. In questi giorni si scriverà il decreto ministeriale e il primo pezzo di riforma sarà legge. Lo meritano (regalo di Natale…) i docenti e gli studenti, almeno la loro componente positiva (larga maggioranza). Ma lo meritano anche quelli che si sono crogiolati nelle lagne, quelli che sembrano intinti nel lamento, i quali non potranno più recitare la litania del "siete tutti uguali", "fatti e non parole". Quelli che "attendiamo la riforma da otto anni", quando sapevano benissimo che la stavamo facendo e concludendo. Appunto, noi, meno uguali degli altri, l’abbiamo fatta. E in più, udite udite, faremo uscire per la ripresa dei lavori altri due provvedimenti: quello che consente ai laureati triennali dei conservatori di andare a fare le supplenze nelle scuole e, soprattutto, quello che ribadisce con parole inequivocabili (anche per gli avvocaticchi del lamento) che il titolo di studio di conservatori e accademie è equipollente alla laurea a tutti gli effetti. Perché, sai caro Bruce Tafazzi, qui bisogna anche fronteggiare chi va a raccontare ai suoi allievi che il loro titolo di studio è carta straccia…Chissà che sofferenza non poterlo più dire… Potrebbero avere una crisi di identità.
Giusto sbattere loro in faccia la telefonata tra B. e Saccà. Bisogna sentirla però, non solo leggerla, la telefonata. Impagabile. Impagabile la "piangeria" di Saccà. Impagabile l’operazione "libertaggio" di B. Commedia, purissima commedia. Nella cultura, nel linguaggio, nel senso delle istituzioni, nei valori personali. Il ritratto di un’Italia che purtroppo non si esaurisce in quella telefonata. Ma che è costume diffuso. Il guaio è che molti non vivrebbero quell’Italia al potere come una iattura, ma come una benedizione in cui sguazzare. Noi non siamo innocenti affatto (e se no perché mi interrogherei sul che fare?), ma un po’ di differenza c’è. Bisogna non camparne di rendita. Viva il presepe e le ballate irlandesi.
Nando
Next ArticleScrittori rivoluzionari. Per Berlusconi