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Il calice amaro e il gioiello di Pietrasanta
E ci siamo. Tra un po’ inizia il passaggio di fuoco al senato. Non so proprio come finirà. Temo molto; come temono tutti. Anche perché mi capitò nel ’98 di partecipare a quella famosa votazione alla Camera in cui Prodi perse per un voto. La Pivetti (che stava con Dini) non venne perché incinta, e Liotta (sempre Dini) fece la capriola dall’altra parte in un amen, senza che nessuno se l’aspettasse. Ricordo senza scampo quelli di An gettare fogli e testi di legge per aria in segno di giubilo, e quell’urlo beffardo e feroce “A casa, a casa”. Quattro governi in cinque anni riuscimmo a fare. Perché, sistema elettorale di un tipo o dell’altro, noi appena facciamo un governo già pensiamo a come buttarlo giù. C’è sempre qualcuno più furbo che decide che, dopo il voto degli elettori, in realtà tocca a lui governare. Non so se Romano faccia bene a giocare così d’azzardo, ma lo capisco, certo che lo capisco, specie con il suo temperamento; e per questo, anche se non sono solito andare alle Camere in queste occasioni (dove spesso l’importante è farsi riprendere dalle tivù, c’è chi ha strategie scientifiche di orario di arrivo e di occupazione della sedia), oggi ci andrò. Se finirà male, è giusto bere l’amaro calice con il proprio capo di governo. Se poi succederà il miracolo…
In ogni caso, pur se con la malinconia di dovere interrompere molte cose, ho la consapevolezza che, se calice amaro sarà, avrò avuto il grande, raro privilegio di servire il mio Paese governandolo. E anche, con tutti i limiti del caso, di avercela messa tutta. Ogni tanto mi tornano in mente alcuni aforismi. Da quello di Cavour sull’”ora dobbiamo fare gli italiani”, i quali evidentemente non si fanno solo dando loro un unico linguaggio e la stessa moneta, a quello di Bobbio sull’Italia “naturaliter di destra” e che può, di conseguenza, andare a sinistra solo in virtù di qualche robusta iniezione di trasformismo. Ma questa è la farina con cui – oggi almeno – possiamo fare il pane, per usare l’espressione cara al mio amico Sergio. La farina non ce la possiamo inventare, proprio no. Poi la si può usare e cucinare con maggiore o minore perizia, si può lavorare a trovarne dell’altra nei prossimi decenni, ma oggi questa è e bisogna farci i conti.
In ogni caso (capitolo ottimismo) il centro di alta formazione per il disegno per il quale abbiamo firmato ieri l’accordo a Pietrasanta, è un gioiello. Un convento-monastero ristrutturato dove ciascuna celletta diventerà lo studio di ogni giovane artista ospitato. Sarà un centro di irradiazione artistica (a contatto diretto con l’Accademia di Carrara, a cui farà capo) di livello internazionale. Ieri c’era anche Omar Galliani (che non è parente di Adriano…), reduce dalle sue mostre in Cina. Ma è tutto il contesto ambientale che promette di fare di questo centro, negli anni a venire (già…), un grande punto di riferimento per i giovani stranieri. Basti dire che a poche centinaia di metri dal monastero, sulla collina, mi hanno indicato la casa di Botero, che ha affrescato gratuitamente per una chiesa locale un inferno e un (bellissimo) paradiso uno di fronte all’altro, facendo per la piazza del municipio una fantastica, tipica statua delle sue. Di fronte alla statua c’è una scuola del Ventennio su cui sono state lasciate le scritte d’epoca, considerate di interesse storico. Una di queste diceva: “Non ci sono grandi e piccole cose, c’è il dovere”. Ho chiesto ridendo al bravissimo direttore dell’Accademia di Carrara per quali misteriose ragioni queste frasi che dovremmo scolpirci in testa debbano solo essere un ricordo del fascismo, accidenti.

Va be’, vado al Senato. Che Dio ce la mandi buona.
Nando
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