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Ecco la mia exit strategy. Dopo il neurodelirio
E’ andata, dunque. Il miracolo non c’è stato. Un anno e mezzo è durato il governo che ci doveva fare uscire dall’era Berlusconi. Invece l’era Berlusconi ricomincia. E sarà più dura di prima, faranno ancor meno prigionieri dell’altra volta. Qualcuno si accorgerà, tra quelli che parlano -come si dice- per fare prendere aria alla bocca, se i governi sono tutti uguali. Non avevamo la bacchetta magica e non abbiamo potuto fare, in quest’anno e mezzo, tutto ciò che sarebbe stato giusto e bello fare, credo nemmeno la metà delle cose desiderabili. E ne sono state fatte anche di non buone. Ma io sono convinto – al tempo stesso – che di cose buone ne siano state fatte molte. E che la strada fosse quella giusta. Il guaio è che se sono i ministri stessi che per farsi vedere e intervistare dicono che questo è insoddisfacente e quello pure, si comunica assai male. Ma ve l’immaginate se io, invece di presentare i miei figli come “i miei Gracchi”, continuassi a criticarli per i loro difetti o eccessi, quelli che ogni essere umano ha, intendo? Che ne pensereste, di loro, se io stesso li rimproverassi ogni giorno in pubblico? E che c’entra tutto questo con l’”incapacità di comunicare”?
In ogni caso ho incominciato la mia personale exit strategy. Ossia la strategia degli scatoloni con cui lasciare libera la stanza per quando sarà necessario. Un po’ mi viene un groppo in gola, no il groppo no, esagero, ma qualcosa che gli sta appena sotto sì. Oggi mi è arrivato un documento con le richieste degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Così impegnato, così scrupoloso, da far credere che si confidasse nell’utilità di farlo. Vedremo di non deluderli, se resterà del tempo per l’ordinaria amministrazione. Ma mi amareggia lasciare le cose incompiute (un giorno però vi farò l’elenco delle cose comunque compiute). Mi amareggia perdere questo dialogo, lasciare questo sforzo che in un paio d’anni avrebbe potuto cambiare in profondità alcuni (piccoli ma preziosi) settori della nostra vita pubblica. E soprattutto non avere potuto mantenere un paio di promesse per la pazzesca lentezza e indolenza di alcuni rami della nostra pubblica amministrazione (riformarla? rivoluzionarla, cari blogghisti, rivoluzionarla!).
Ieri in senato è stata dura. Dura ma utile. Per capire e ricordare. Prodi che attendeva la fine di tutto, come volesse vedere il Giuda di turno arrivare “prima che il gallo canti tre volte”. L’euforia sbracata dell’opposizione che diventava maggioranza. Noi del governo mai così solidali, mi chiedo perché abbiamo bisogno delle disgrazie per sentirci uniti…Qualche discorso stonato anche a sinistra; brava, altra cosa
Nando
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