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Un’altra TV è possibile
(l’Unità, 6 febbraio 2008) – Alcuni lettori lo sanno: non faccio il critico televisivo. Però…Però si può parlare di televisione anche da sociologi, da studiosi dei fenomeni politici e culturali, da persone attente ai costumi civili del proprio paese. E allora, per le ragioni che dirò, voglio fare l’elogio di quel che ho visto lunedì sera su una rete televisiva. La7, per la precisione: “Niente di personale” la trasmissione, Antonello Piroso il conduttore. Ci sono arrivato facendo volonteroso zapping da una rete all’altra per scorrere il menù della serata. E, salve alcune rapide fughe nelle pause pubblicitarie, mi ci sono fermato ottimamente. Un abisso. Un vero abisso fra la trasmissione di Piroso e le altre intente a occuparsi in contemporanea su altre reti, grandi e piccole, di attualità politica. La prima ragione, un po’ di pelle ma non solo, è che non c’era la “compagnia di giro”, ovvero la rifrittura in salse diverse dei quindici-venti ospiti che da anni, mica una briscola, appaiono aPorta a Porta e a Ballarò su qualsiasi tema, si tratti di euro, di casa, di morti sul lavoro o di referendum. Già, la politica e tanto meno la cosa pubblica non sono una compagnia di giro, non sono un salotto errante. Chi la riduce a questo priva i telespettatori delle competenze, anche alte, che la politica produce e richiede; e li convince al contrario che in politica chiunque sia abilitato ad affrontare tutti i problemi. Ossia che la politica sia il regno dell’incompetenza. Dove ognuno può parlare in assoluta libertà dai dati, dai fatti, dalle cifre, dalla logica, dagli studi.
La seconda ragione è che la trasmissione di La7 ha avuto momenti insolitamente alti. Ad esempio l’intervista a Omar Bin Laden, figlio di Osama. Figlio dissidente anche se rispettoso del padre e delle sue idee. Figlio che chiede una tregua mondiale, tra tutte le religioni e tra tutti i governi, e che era accompagnato in studio da una moglie colta, capace di parlare un ottimo inglese, unica presenza femminile laddove ormai la donna giovane e bella e scoperta sembra -al di là delle sue competenze- un obbligo estetico per la riuscita della trasmissione. Ammetto che mi ha colpito vedere in primo piano il viso del giovane Bin Laden. Quando, giorni fa, avevo letto su un quotidiano la notizia delle sue posizioni “pacifiste” avevo provato la curiosità di leggerne o ascoltarne un’intervista. Piroso lo ha cercato. Strano che reti molto più potenti della sua non abbiano avuto la stessa tentazione, tanto più che una di loro ha idee ricche e avventurose assai a proposito di ospiti; aveva pure provato a far venire in Italia non Omar Bin Laden ma Monica Lewinsky, che evidentemente aveva solleticato maggiormente la fantasia degli autori. Ma mi ha colpito anche un altro, chiamiamolo così, dettaglio. All’ospite non sono stati affiancati, per “controbilanciarlo”, degli inutili e narcisi esperti né gli esponenti di altre religioni; questo è infatti l’assortimento a cui siamo stati abituati con l’effetto che a parlare meno è alla fine l’unica persona che ci interessa veramente sentire. Davanti al giovane c’era solo il giornalista. Serio, ospitale ma non disposto a fare sconti. Lui a fare le domande, l’altro a rispondere. Lui a obiettare, l’altro a replicare. Non ci siamo più abituati. Da quindici anni sentiamo un’altra musica. Una battuta, ci faccia una battuta. Se volete interrompervi fatelo pure così il pubblico si scalda.
Altro momento alto, nella stessa serata, è stata (ma sì) l’intervista all’amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti. Stupefacente rendersi conto di non averlo mai visto in televisione. In effetti lui tra gli ospiti abituali (o anche episodici) non c’è. Eppure ha una funzione pubblica primaria. Eppure i servizi che amministra hanno molto a che fare con le condizioni di vita della gente, con i suoi bisogni quotidiani. Si vede che se non è un politico non lo si può invitare. Anche qui: altri ci avrebbero piazzato un presidente di una commissione parlamentare Trasporti, poi l’esponente di un partito opposto a quello del suddetto presidente, poi una bella attrice a gambe accavallate in quanto “utente abituale” delle ferrovie, forse un sindacalista (a rappresentare i ferrovieri) e chissà quant’altro. Piroso no. Di nuovo domande e risposte. E uno poteva condividere o no quello che diceva Moretti. Ma almeno lo sentiva argomentare, capiva il suo punto di vista, sentiva fare riferimento a cifre e a confronti veri, non come quando a ogni dibattito sentiamo gli illetterati inventare che “mentre nel resto d’Europa…”, oppure “mentre invece in Germania…” e giù panzane incontrollabili inventate all’impronta. Il giornalista, che si era preparato (è un po’ più faticoso, lo so; ma assicuro che per chi ascolta ne vale la pena), faceva di nuovo le sue obiezioni. Senza scodellare sondaggi su “quel che pensano gli italiani”, ma usando la sua professionalità. Mi sono chiesto perché per sentire un ragionamento vero dell’amministratore delegato delle Ferrovie e per vederlo in faccia si debbano aspettare secoli. E non vado oltre, anche se devo aggiungere che il confronto a due tra Enrico Mentana e Gad Lerner sulle elezioni è stato anch’esso, per civiltà, buon senso e intelligenza, una spanna sopra a quelli che vedremo da qui ad aprile (“Siete stati voi”, “No voi”, “Gli italiani vi hanno già giudicato” e via continuando, c’è da giurarci, con questo raffinato repertorio).
Morale. Non sembrava vero. Quasi il paradiso terrestre catodico. La fine del talk-show. La fine della quantità che schiaccia la qualità. La fine della chiacchiera. Il giornalista che studia e dunque basta da solo a fronteggiare l’ospite. Il quale, ancora, può ragionare e non è costretto a fare solo battute (ah, com’è brillante…; ah com’è poco telegenico…). E soprattutto alcune persone mai viste. Sembrava quasi che d’improvviso la tivù avesse aperto le sue porte -un po’ come le caserme il 4 novembre- e d’incanto vi avessero trovato diritto di parola protagonisti estranei, una sorta di terzo stato fatto di né politici né giornalisti né attrici.
Nel frattempo su una tivù regionale Giancarlo Caselli era rimasto incastrato nell’ennesimo talk-show. Lui, con la sua lunga storia al servizio dello Stato, in prima fila per decenni contro il terrorismo e contro la mafia, costretto a fronteggiare le banalità ringhiose dell’ultimo arrivato. Lo Stato vissuto drammaticamente sulla pelle contro il perfetto esemplare da bar sport, con l’ennesima discussione su politica e magistratura. Di nuovo la sensazione dell’abisso. No, questa non è informazione democratica. Ci sono già i consigli comunali e il parlamento dove (purtroppo) i coatti possono dare del cretino a Bobbio o del pannolone a Ciampi. Ma che l’informazione non sappia regolarsi nell’accostare le persone, che la dignità personale e la cultura non contino nulla, che ognuno debba e possa essere “controbilanciato” in base alla pura appartenenza di parte e non per status morale e culturale, questo alla fine avvelenerà il paese. Perché lo rende meno informato, meno critico, lo persuade che le biografie non meritino rispetto, che il gigante e il nano siano uguali, che si possa mettere tutti alla pari come nel più grigio regime totalitario; perché tutto e tutti appiattisce nella grande palude. Perché non gli spiega che si può contestare anche il galantuomo, ma che ruttargli in faccia è un’altra cosa. Cultura è sapere, è distinguere, è apprezzare. Una volta si diceva alle persone per bene di non rispondere agli insulti dei tangheri perché se no si mettevano “al loro stesso livello”. Ecco, bisognerebbe che nessuno dotato di dignità si facesse mettere più “allo stesso livello”. Che cercasse e pretendesse un giornalismo e formule giornalistiche come quelle di La7. Domanda e risposta. Giornalista preparato e indipendente, nessuna carovana di parolai a disturbare e dire fesserie, ospite (meglio se non abbonato) disposto a farsi intervistare senza sapere le domande prima. Ma è così difficile?
Nando
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