Me medesimo al mercato dell’usato

Una cartolina! Mi è arrivata una meravigliosa cartolina. Con l’arco di Tito in visione notturna. Timbrata Roma 18 agosto 1965. Me l’ha mandata il mio amico Rosario, forse per ringraziarmi del post di quindici giorni fa. Com’è possibile "quindici giorni fa" e "18 agosto 1965", voi dite? Ve lo spiego subito, perché la storia è bellissima. Un tale passa a una bancarella milanese dell’usato e vede prodotti di modernariato, tra cui vecchie cartoline illustrate. Ne prende in mano alcune. Poi una cattura la sua attenzione. E’, appunto, del 1965. Risulta indirizzata a tale Prof. Giuseppe Antonio Pelosi, presso il liceo Parini di Milano. Ed è firmata con scrittura adolescenziale "Fernando dalla Chiesa". Il tale la compra e, sapendo che Rosario è mio amico e pensando di farmi un piacere (e ci riesce!), gliela porta perché me la faccia avere. Così, dopo quasi quarantatre anni, mi è arrivata una mia cartolina. Un’emozione grandiosa, garantisco. Ho solo avvertito qualche inquietudine nel pensare che il mio antico professore potesse essersi disfatto lui personalmente della cartolina mandata da un suo allievo. Poi mi sono tranquillizzato convicendomi, non so perché, che l’abbia fatto qualche suo discendente. Era un bel tipo, il professor Pelosi. Parlava un italiano forbito e ottocentesco (a una mia compagna che si dondolava troppo ingiunse di non fare cadere "l’edifizio"). Lo ebbi insegnante di greco solo per un anno, e dunque la cartolina estiva non suoni cortigiana, sapevo già che non l’avrei più avuto. Ma mi aveva insegnato una cosa fondamentale. La quale fra l’altro, come spesso accade con i veri professori, era estranea alla materia da lui insegnata. Prima di partire per le vacanze si era raccomandato: i compiti delle vacanze non sono importanti, ci disse, l’importante è che voi non facciate mai passare una giornata senza leggere qualcosa. Se non leggete un libro, un articolo, qualunque cosa, è una giornata buttata. Mi ha fatto tenerezza istruttiva rileggere che cosa gli avevo scritto: "un deferente ricordo". Proprio così: deferente ricordo. Scritto in assoluta libertà perché quell’agosto lo trascorsi senza genitori a Roma da mio zio e con i cugini. Ero stato abituato a sapere che al proprio professore si scriveva "deferente", che "cordiale" era troppo e indebitamente confidenziale. Era un’educazione, quella, che oggi farebbe fare alla nostra scuola un salto di qualità stratosferico, altro che queste turbe di genitori assatanati a difesa dei propri virgulti qualunque cosa facciano e dicano…

Meno bella è la storia capitata a un altro mio, più impegnativo, scritto. Me l’ha raccontata Michele Mancino (di Varesenews), dopo avere presentato le Ribelli e  Delitto imperfetto a Tradate l’altra sera (accidenti, la gente, o meglio molta gente, vuol sapere, vuol sapere ancora…). Ha trovato il mio Storie eretiche di cittadini per bene (Einaudi) in un ipermercato, in mezzo a tanti libri accatastati. Un cartello diceva 4 euro e 90 centesimi al chilo. Il mio pesava 80 grammi. E anche queste, come direbbe il mio amico Marco Travaglio, sono soddisfazioni. L’avessi almeno trovato io che non ne ho più una copia… (in casa c’è solo quella dedicata a Dora, che scelse la copertina)

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