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Candidature. Perché ho chiesto la deroga
Come forse saprete, il PD nel giusto sforzo di aprire il proprio futuro gruppo parlamentare alle donne e ai giovani ha stabilito di andare oltre il principio generale di non ricandidare chi abbia tre legislature piene e consecutive. E ha deciso che per queste elezioni non debbano essere ricandidati comunque coloro che abbiano tre mandati parlamentari, indipendentemente dalla loro durata e dalla loro consecutività. Questo principio prevede però delle deroghe: accordate ai gruppi dirigenti del partito e, in numero assai più limitato, a chi ne faccia richiesta sulla base di una "relazione analitica" circa la propria attività parlamentare, da cui si deduca l’utilità della ricandidatura. Io ho richiesto questa deroga. E siccome ritengo che questa notizia sarà, come è giusto, resa pubblica, mi sembra altrettanto giusto rendere pubbliche le ragioni per le quali l’ho chiesta, così che tutto possa essere valutato dagli elettori nella massima trasparenza e consapevolezza.
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La prima ragione che mi porta a chiedere la deroga è la lunghezza – e nettezza – dell’ impegno personalmente profuso per realizzare il Partito Democratico. Impegno che rimonta ai primissimi anni Novanta, quando chiesi e ottenni che
Per questa ragione, non lo nego, mi sembrerebbe quasi un controsenso dovere uscire dal parlamento proprio quando, finalmente, vi entra il partito democratico. So che questi paradossi stanno tranquillamente nella storia delle cose; ma certo la nettezza d’immagine del Partito democratico si avvantaggerebbe del fatto che a comporre la sua prima rappresentanza parlamentare eletta vi fossero tutti i (non molti) esponenti politici che da tempo e pubblicamente si sono battuti perché esso nascesse.
La seconda ragione
Così, per esempio, nel ‘96-2001, facendo parte della Commissione Cultura della Camera, ho affiancato l’azione del governo facendo istituire e poi coordinando un comitato parlamentare d’indagine sull’abbandono scolastico che ha prodotto una ricca e importante relazione, che ha avuto una certa eco nel mondo della scuola. Mentre nel 2001-2006, facendo parte della Commissione Giustizia del Senato come capogruppo della Margherita, sono stato, a giudizio della stampa di allora, anche internazionale, un punto di riferimento costante nella battaglia – lunga, intensa e difficile – contro le leggi ad personam e più in generale contro una legislazione sciagurata sul tema della giustizia. Per rendere più efficace quell’azione fondai e poi fui richiesto di coordinare il comitato di quaranta parlamentari “La legge è uguale per tutti”, che segnò l’impegno del parlamento su un tema che scuoteva l’opinione pubblica, e che promosse, fra l’altro, la celebre manifestazione di piazza Navona. Al tempo stesso partecipai al gruppo di lavoro speciale sulla condizione delle carceri, di cui ho poi curato, nel volume-relazione, la parte sulla Lombardia.
Né la nettezza dell’opposizione fu in contrasto con l’elaborazione di proposte legislative (mia fu l’idea del "manager giudiziario") o con la riflessione scientifica sulla materia, espressa in sedi politico-istituzionali e accademiche.
La terza ragione è che il mio impegno istituzionale si è sempre raccordato, direttamente e visibilmente, con i sentimenti e le domande di pulizia e di moralità, di difesa dei grandi princìpi costituzionali, diffusi nella parte più sensibile e attiva dell’opinione pubblica e che il Partito Democratico ha meritoriamente scelto di fare proprie. Nella legislatura ’92-’94 il “movimento per la democrazia-la Rete” si batté strenuamente per abolire l’immunità parlamentare (era tra i primi punti del suo programma) e io fui tra i più attivi propugnatori di una riforma in quel senso dell’articolo 68 della Costituzione. Egualmente nella già citata legislatura 2001-2006 i movimenti civili impegnati sulla giustizia e sulla pace (i cosiddetti “girotondi” ma non solo) trovarono nella mia azione uno degli snodi attraverso cui interloquire con il parlamento e con i partiti. Egualmente è successo con il movimento referendario in difesa della Costituzione, che mi vide impegnato direttamente e in più forme (articoli, la promozione e la pubblicazione di un libro collettaneo, incontri per l’Italia e nelle scuole, festival).
Questo impegno su tali temi, peraltro, è continuato anche nell’esercizio della mia funzione di governo. Ricordo, in particolare, il progetto "Ethicamente" realizzato per promuovere l’etica delle professioni negli studi universitari e l’accordo con Libera per valorizzare la cultura della legalità nelle università.
La quarta ragione, strettamente collegata a quelle precedenti, è che se l’obiettivo del Partito Democratico è di dare spazio alle figure che abbiano un’alta capacità di rappresentare la società civile e di farsene tramite, io credo di avere sempre svolto la mia attività, non solo “rappresentando”, ma anche “spronando” e “mobilitando” la società civile; cercando di essere io stesso, al contempo e naturalmente con i miei limiti operativi, espressione della società politica ed espressione della società civile. Voglio dire che il mio impegno politico (e in difesa della "buona politica") si è accompagnato a un forte impegno giornalistico, tradotto in centinaia di articoli su quotidiani (in particolare l’Unità) e riviste piccole e grandi; a un’intensa attività di scrittore su temi sociali, civili ma pure di narrativa sportiva e di satira politica, che hanno dato luogo anche a traduzioni cinematografiche e teatrali; alla creazione di spazi editoriali attraverso la fondazione della casa editrice Melampo, che ha pubblicato numerosi libri di denuncia e analisi sociale e che sta allargando la sua influenza culturale, anche grazie all’apertura dello "Spazio Melampo" a Milano; alla nascita del Mantova Musica Festival, giunto alla quinta edizione, unico festival musicale italiano a scegliere un tema civile di riferimento ogni anno, e che nacque come impresa quasi impossibile in alternativa al festival di Sanremo di cui era stata affidata la direzione artistica a Tony Renis, notoriamente frequentatore e apologeta di boss mafiosi (i Gambino anzitutto). Ho poi avviato una produzione di testi teatrali, che farà il suo esordio in scena il prossimo 14 marzo sera a Bari per la giornata "dell’impegno e della memoria" organizzata come ogni anno da Libera e don Ciotti (si tratta di un monologo di una liceale romana entrata in polizia e andata volontaria alla sezione Catturandi di Palermo).
Tali iniziative, vorrei sottolinearlo, cercano sempre di porre al loro centro temi di cui mi occupo in sede istituzionale. Ad esempio il Mantova Musica Festival ha dedicato una sua edizione ai valori della Costituzione, vede come ospiti amministratori, politici, intellettuali e magistrati; e dallo scorso anno contribuisce anche a valorizzare i giovani talenti dei Conservatori, sulla cui formazione ho – tra le altre – avuto la delega nella mia azione di governo. Aggiungo in proposito che è proprio per costruire una maggiore sensibilità verso i problemi dei giovani di Accademie e Conservatori che sto organizzando un festival dedicato espressamente a loro per il prossimo mese di luglio.
In chiusura dell’illustrazione di questa “quarta ragione”, desidero ovviamente precisare (mi sembra decisivo) che queste attività non hanno mai impedito il pieno e responsabile adempimento dei doveri istituzionali. Il quale anzi ne è stato rafforzato e reso più incisivo, visto che, senza nulla sottrarre di tempo e di attenzione ai compiti d’aula e di commissione, tali attività ne hanno rappresentato un’estensione. Di più: un’estensione particolarmente utile visto il controllo maggioritario esercitato dal centrodestra sui mezzi di comunicazione di massa.
La quinta ragione sta nel particolare rapporto fiduciario che credo di avere costruito con le aree di cittadinanza più attiva del paese, con il ricco tessuto delle associazioni civili, sociali, culturali che ne sono l’anima democratica. Penso che tale rapporto possa esprimersi attraverso più indicatori. Un indicatore sono gli inviti che ricevo ad andare a parlare nelle scuole, benché non sempre possa accettarli a causa degli impegni istituzionali. Credo di essere uno dei pochi politici che vi viene invitato senza che si avverta il bisogno di metterlo a confronto con un esponente “dell’altra parte politica", segno di una fiducia nella mia lealtà allo spirito istituzionale e nella mia estraneità a schemi propagandistici. Un altro indicatore è, naturalmente, quello degli inviti che ricevo da associazioni, circoli, librerie, parrocchie per temi non direttamente politici (forse serve quantificare: oggi ho sul tavolo 47 richieste di presenza un po’ in tutta Italia, pervenute nell’ultima settimana).
Molte di queste richieste hanno come tema l’impegno per la legalità e contro la mafia. Mi permetto solo di suggerire che mentre la Sinistra l’Arcobaleno sembra puntare sulla lotta alla mafia come tema qualificante del suo programma, per il Partito Democratico sarebbe sensato (ovviamente non solo per questo…) esprimere la maggiore forza possibile, anche simbolica, proprio su questo tema. Un altro sia pur più personale indicatore di questo interessamento è la frequentazione da parte di migliaia di visitatori del mio Blog ogni settimana; che si registra, lo noto per inciso, benché il sottoscritto non sia ospite abituale di programmi televisivi.
La sesta ragione nasce dall’invito rivolto dal Segretario a tutto il partito affinché le candidature, oltre a esprimere certi valori di fondo e un’apprezzabile apertura alla società civile, portino in dote anche un capitale di consenso elettorale. Non è per vanteria che ricordo in tal senso i miei risultati alle elezioni politiche, ma proprio per andare incontro a un criterio di valutazione giustamente richiamato in questa fase. Personalmente mi sono dunque candidato in quattro elezioni politiche.
Nel 1992 (ultime elezioni con proporzionale e preferenze) mi presentai nella circoscrizione Milano-Pavia. Ottenni più di 36.000 preferenze come capolista della Rete, che prese il 2,8 per cento, risultando settimo tra gli eletti di tutti i partiti e superando tutti e tre gli ex sindaci della città. Ciò – lo ricordo con qualche ironia – mi valse, da parte dell’on. Giovanardi, l’accusa televisiva di avere falsificato i dati delle mie spese elettorali, sembrando a lui "impossibile" ottenere quelle preferenze con la spesa di sei milioni di lire.
Nel 1994 venni candidato a Milano-Baggio, in quello che i Progressisti stimavano essere collegio sicuro, essendo (secondo i calcoli) il diciassettesimo della provincia di Milano. Come è noto, invece, di fronte al trionfo berlusconiano non venne eletto nessuno. Ma il mio collegio ebbe il migliore risultato dei Progressisti in tutta la provincia e il secondo di tutta la Lombardia, dietro solo il collegio di Suzzara, che ebbe l’unico eletto alla Camera della regione.
Nel 1996 venni candidato a Paderno-Cusano Milanino, collegio marginale dove l’Ulivo partiva con un punto percentuale di svantaggio. Vinsi con 3.5 punti di vantaggio.
Nel 2001 (ultima mia competizione) venni candidato a Genova per il Senato, in un collegio che era dato per sicuro perché dal dopoguerra vi erano sempre stati eletti (grazie ai resti) i primi due candidati. Il mio stesso avversario principale, in apertura di campagna, mi salutò cordialmente dicendomi "Non ti preoccupare, passiamo tutti e due". L’Ulivo partiva, sulla base delle precedenti regionali, da -5. Vinsi con tredici punti di scarto, e per la prima volta quel collegio elesse un solo candidato.
Naturalmente questi risultati possono essere stati agevolati da particolari contingenze fortunate. Ma io ritengo che essi siano anche il frutto di una certa "trasversalità" dei consensi che mi pare di raccogliere: dai giovani pacifisti alle forze dell’ordine e alle associazioni d’Arma, dagli insegnanti ai professionisti, dai moderati che amano i "buoni princìpi" a chi vive con radicalità la difesa dei valori costituzionali.
La settima ragione per la quale chiedo la deroga nasce dalla piena condivisione del messaggio che il Partito Democratico intende dare al Paese circa la necessità che la politica non rappresenti un “mestiere” a vita. Perciò desidero far notare senza indebiti orgogli che, al di fuori delle due legislature e mezzo (non consecutive) e dei quasi due anni in cui sono stato recentemente sottosegretario all’Università e alla Ricerca, non ho mai vissuto di funzionariato di partito, di incarichi politici locali, o di posizioni professionali comunque dovute a nomine di partito. La mia attività istituzionale non si colloca cioè in un percorso politico di professione. E neanche un nuovo mandato vi si collocherebbe di certo.
E’ dunque per le motivazioni su esposte (che, pur nella loro analiticità, risentono comunque di una evidente esigenza di sintesi) che ritengo di potere apportare alla presenza del Partito Democratico in parlamento un contributo di esperienza, di competenza, di capacità di lavoro, di relazioni sociali e civili, e anche – se così posso esprimermi – di creatività, utile a ottenere i risultati che il partito si prefigge sul
Nando
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