Ho conosciuto una vera Dem

(Europa, 22 febbraio 2008) – Signore & Signori, l’aria è cambiata. Si presteranno pure a cento suggestioni le candidature vere o sussurrate dei rampolli di premiate dinastie imprenditoriali. Saranno soprattutto mediatiche le candidature di giovani ricercatori di vaglia. Però la brezza c’è sul serio. Però si avverte davvero un vento nuovo spirare dalla società dei meriti e dei talenti, dei giovani e delle donne. Lo si fiuta se solo si ha un minimo di allenamento alle profondità e alle superfici del paese. Lo scorso sabato mattina all’assemblea del Partito democratico lo si coglieva nelle facce e nelle biografie delle persone che si incontravano, dentro un luogo della politica che finalmente non sembra più una caserma o un convento ma (e sembra incredibile doverlo registrare come un fatto nuovo…) rappresenta e mescola i generi maschile e femminile proprio come accade nella società. E, a distanza di giorni, di una biografia in particolare vorrei parlare, di una biografia non mediatica. Incontrata per caso. Giusto perché si possa tutti capire meglio le opportunità che nascono dalla nuova impresa politica.


Ero dunque sistemato su un gradone di una tribuna laterale quando poco prima dell’inizio si è seduta accanto a me una giovane signora. Che non avevo mai visto. E con cui abbiamo iniziato a scambiare qualche commento dopo le prime battute di Prodi. Di cui lei si è dichiarata un’estimatrice. Ma dal quale, ha confessato, avrebbe voluto ascoltare una frase. Un ringraziamento per chi è stato colpito dagli aumenti Irpef sulle fasce alte e nulla ha detto per il semplice fatto che condivideva il programma di giustizia sociale del governo. Per chi ha taciuto per lealtà verso i valori votati due anni fa. Vengono ringraziati in tanti, mi ha detto. Ma le fasce alte del lavoro dipendente hanno avuto davvero le tasse più salate. Io ho pagato centoventotto euro in più al mese, tutto l’aumento che ho avuto con la promozione in azienda. Ma ho creduto che fosse giusto così, e ho taciuto, come abbiamo taciuto in tanti, mentre invece protestavano quelli che poi le tasse non le pagano. Ecco, sarebbe stato bello sentirsi dire "grazie a chi ha sostenuto questo governo anche se economicamente ci ha perso un po’". Sa, avere una gratificazione morale se si rinuncia ai propri interessi…

Non era la prima volta che sentivo fare questo ragionamento. Però era la prima volta che lo sentivo fare con quell’accoramento, con quella passione civica. Le ho chiesto dunque che lavoro facesse, anche perché nel frattempo la signora aveva iniziato a sottolineare con una certa competenza i passaggi del discorso di Veltroni sugli scenari economici internazionali. Mi ha risposto offrendomi, una notizia via l’altra, un ritratto fedele dell’ Italia che il Partito democratico vorrebbe chiamare all’assunzione di responsabilità politiche. Laureata in economia a Lecce, poi a Milano e in Inghilterra per master e corsi di specializzazione. Un passaggio professionale a Ivrea dall’ultima Olivetti e quindi l’approdo a una multinazionale leader nel settore della consulenza aziendale in campo informatico. Una visibilissima cultura da alta consulenza e formazione ("ecco, qui Veltroni avrebbe dovuto anticipare i dodici punti, come si fa nei master"). Abituata a viaggiare per lavoro in tutto il mondo, come anche il marito. Due figlie, di tre e due anni. Ma come fate a tenerle?, mi è venuto di chiedere, memore di lontane ansie familiari. Ha forse i nonni a casa? No, mi ha risposto. Ho una ragazza straniera che sta da noi. E che le accudisce benissimo. Anzi, con lei ho fatto un accordo: che le do una percentuale dei miei incrementi di stipendio, perché se posso fare carriera in fondo lo devo a lei. Ecco: questa, invece, non l’avevo mai sentita. E mi sono meravigliato, anzi sono rimasto ammirato per questa onestà nel riconoscere i meriti delle persone che ci stanno vicine. Ho pensato che sarebbe bello se il Partito democratico fosse capace di costruire una società dove tra i datori di lavoro e i lavoratori circolasse questa atmosfera di generosità, altro che il lavoro in nero.

Senonché il discorso di Veltroni, a quel punto, ha subito spinto a parlare ad ampio raggio dei meriti. Del pubblico impiego, della faticosa esperienza che il sottoscritto ha fatto dei ministeri stando al governo, dell’assenteismo, delle ragioni di Ichino (se non l’ho nominato l’ho comunque sempre tenuto sulla punta della lingua). Mentre la mia vicina mi ha parlato della sua esperienza in azienda, dove sono quasi tutti dirigenti, e dove chi non raggiunge gli obiettivi dell’anno viene quasi automaticamente licenziato. Con qualche fondamento, ha detto lei, visto il livello degli stipendi. E, nel dirlo, mi ha fatto notare come sia paradossale che proprio l’Italia, il paese occidentale che in economia e nella società più rifiuta -in nome del solidarismo- di riconoscere il valore dell’individuo, sia anche quello in cui si è meno capaci di lavorare in gruppo, in cui il lavoro è più individualista. Per gelosie e per chiusure mentali. Mentre i paesi che esaltano l’individuo, gli Stati Uniti soprattutto, sono quelli in cui c’è la maggiore propensione a lavorare in gruppo, team o equipe che sia, dentro l’azienda e fuori.

Ecco, ho pensato, ecco le riflessioni che ci servirebbero per mandare all’aria le nostre muffe organizzative, i nostri mostri burocratici, la nostra primitiva adorazione del "potere di firma". Mi sono così detto che la giovane signora (con la quale abbiamo rigorosamente continuato a darci del lei fino alla fine) rappresentava per la sua storia, per la sua freschezza di idee, la classe dirigente di cui questo paese ha bisogno in politica. E, mentre me lo dicevo, pensavo pure che una volta un colloquio così con il mio vicino in una riunione di partito  non mi sarebbe capitato neanche a pagarlo, che c’è voluto il Partito democratico per renderlo possibile. Per fare entrare in queste riunioni gente colta, interessata alla politica, generosa, autentica società civile. Non si trattava infatti, come si sarà potuto capire, di una militante o simpatizzante stretta di partito. Notavo che aveva il senso della politica (mi ha raccontato alla fine di avere avuto il fratello di una nonna deputato democristiano e un padre candidato del Pci), ma anche che era laicamente sobria negli applausi e attenta piuttosto alla qualità dei contenuti. Poi, arrivata l’ora di pranzo, la signora se ne è andata. Doveva vedere le figlie e poi partire per Liverpool. Ma prima, con una punta di timidezza mi ha chiesto una cosa. Se potevo proporre una sua candidatura; e, a sostegno, mi ha consegnato un curriculum, già pronto e che evidentemente sperava di potere affidare a qualche esponente del partito nella mattinata.

Bene. Mi sono domandato quale spinta possa portare una donna in carriera e piena di soddisfazioni professionali e affettive a dare la sua disponibilità a candidarsi per un partito che i sondaggi danno perdente. Di più, e forse soprattutto. Mi sono chiesto che cosa le abbia potuto fare pensare che questo partito sia, a sua volta, così aperto da potere giungere alla sua assemblea nazionale e lì consegnare un curriculum con la fondata speranza che venga preso in considerazione per essere candidata al parlamento. Anche senza potere contare su appartenenze e protezioni politiche o su un cognome altisonante. Domanda: ma non è grandioso? Datemi retta: qui sta cambiando qualcosa. La brezza c’è. E può trasformarsi in vento.

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