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Se l’Irpinia è quella cosa…
Auguri a tutti. E’ il primo giorno di primavera (gli auguri di Pasqua arriveranno poi…). E per infiorare gli auguri vi comunico ufficialmente che l’Irpinia non è solo Ciriaco De Mita. Ma è anche una scuola media di Prata Principato Ultra. Prata è il paese in provincia di Avellino dove nacque mio nonno materno. Il quale, andando in giro per l’Italia, lì aveva lasciato un casolare con un terreno. Che mio padre volle tenacemente riattare investendoci i suoi risparmi. Un grande gelso, un noccioleto, dei filari di vite. Grilli che cantavano a distesa tutta la sera. Noi a lamentarci che non investisse in una villa al mare. Lui che (ai nostri occhi) sproloquiava di un prossimo ritorno alla natura. In ogni caso facemmo lì le nostre vacanze per cinque anni. Lì lo vidi l’ultima volta. La gente del paese gli si affezionò. Dopo il delitto vollero subito dedicargli una piazza. Ma il giorno prima dell’inaugurazione resero la villa un deserto. Portarono via tutto, ma proprio tutto. Non restò neanche un fazzoletto. Nessuno vide niente. Ci lasciarono per ricordo (augurale?) una civetta morta sul pavimento. Non la faccio lunga e non racconto il resto. Sgradevole, da rodersi il fegato. Demmo tutto a una comunità di recupero, "la Roccia "; che almeno quella villa ("villa Dora") servisse a fare del bene.
Dice: e che c’entra la scuola media? Be’, mercoledì l’hanno intitolata a mio padre con una mattinata bellissima che mi ha riconciliato con quel paese. E che mi ha fatto scoprire una volta di più la forza straordinaria di un tipo diffuso di insegnanti meridionali. Di quelli che per mille e passa euro al mese rifanno o provano a rifare senza stancarsi mai il senso civico della nazione. Tutto era stato preparato con amore, con una passione che a volte metteva i brividi. Ragazzini che leggevano le poesie dedicate al generale-prefetto dopo averne letto e sentito parlare a scuola, e dopo avere raccolto la memoria orale dei propri nonni. Ragazzini che cantavano e suonavano per lui (chitarre e flauti) diretti da un professore (Claudio Petruzziello) che era l’entusiamo contagioso in persona. Davanti a me un allievo andava di chitarra mostrando sulla cassa armonica due foto del Che, la più grande era quella classica di lui con il sigaro. Intanto il professore Marciano -devo nominarli, è giusto farlo…- fotografava, filmava, essendo il regista abituale della memoria visiva della scuola. Stupenda l’interpretazione di "Pensa" di Fabrizio Moro fatta da due ragazze e un ragazzo.
Intanto la preside, Silvia Mauriello, che ho scoperto mia lontana parente, gongolava emozionata per la prova dei suoi ragazzi dopo tanto lavoro. E quando le ho espresso ammirazione per l’accompagnamento di tamburi e batteria, mi ha detto: "eh, alle percussioni ci mettiamo i più discoli". I più discoli. Che gioiello di pedagogia…
Con lei la vicepreside, gli altri insegnanti, don Mario, e altri ospiti delle istituzioni. "Noi e il generale" era il titolo. Sullo sfondo, con delicatezza, andavano perfino le foto di mia madre, procurate da una sua cugina. Irpinia, Irpinia…Con Pasquale Pirone e Daniela, ospiti di questo Blog, che erano venuti a incontrarmi e guardavano tutto stando in piedi sulle scale della affollatissima aula del municipio. Basta. Non aggiungo altre note sulla cronaca politica nazionale, come avevo invece in mente aprendo il computer. Non voglio sciupare tutto. Lascio l’immagine di una scuola media di un paese del sud piena di professori meridionali che farebbero schiattare di rabbia un leghista (vieni a vedere come si lavora). E piena di cartelli fatti dagli alunni: legalità, ambiente, solidarietà, buona educazione.
Nando
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