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Bolzaneto e Diaz. QUANDO DISSI GARAGE OLIMPO
(l’Unità, 22 marzo 2008) – Garage Olimpo. Usai d’istinto quest’immagine un paio di giorni dopo la "macelleria messicana" della Diaz. Su queste pagine, ancora sconvolto dalla visita alla scuola che era stata usata come dormitorio da un centinaio di giovani no-global; mentre nella colonna a fianco Giuliano Pisapia raccontava gli orrori di Bolzaneto. Venni autorevolmente rimproverato per quella metafora. Ma come? Accostare i comportamenti della nostra polizia repubblicana e democratica a quelli degli agenti di una dittatura militare? Qui si è perso il senso della misura, venne detto e scritto, anche su fogli progressisti. Ora quell’immagine è diventata senso comune. Ed è un successo della Storia, la quale alla fine pesa sempre più delle frenesie polemiche e delle omertà politiche del momento. Perché l’atto di accusa della Procura di Genova non fa che trasferire sul piano giudiziario i racconti e le testimonianze che iniziarono a giungere all’opinione pubblica internazionale già la notte di quel sabato di terrore e di follia. I giovani e i meno giovani che subirono di tutto, letteralmente di tutto, alla Diaz come a Bolzaneto, non mentivano. E, contrariamente a quel che si insinuò allora, non avevano alcun interesse a mentire. Non erano terroristi e in grandissima parte non avevano neanche partecipato agli scontri ingaggiati da non più di diecimila manifestanti su trecentomila contro le forze dell’ordine nei due giorni prima. Forse, anzi senz’altro è giusto elencare quali convenzioni e quali trattati internazionali siano stati violati nell’occasione. Ma io continuo a pensare che Diaz e Bolzaneto siano semplicemente il capitolo più nero, il più indecente scempio del diritto consumatosi nella storia della Repubblica. E continuo a pensare che tutti coloro che se ne resero responsabili debbano vedere consegnato il loro nome alla storia più che ai tribunali. Mai ho visto le tracce di violenze tanto gratuite e convinte della propria futura impunità. Mai, dai luoghi di una democrazia, ho ascoltato racconti così drammatici, così capaci di rimescolare indignazione e commozione in tutta Europa. Certo, abbiamo saputo di terroristi tedeschi uccisi in carcere. Abbiamo visto squadre di poliziotti americani pestare a morte un nero. Abbiamo saputo di pestaggi a morte anche in Italia, magari scatenati da futili motivi. Singoli, intollerabili episodi. Mai però pestaggi o torture, fisiche o psichiche, di massa. Senza preoccupazione alcuna per le reazioni delle famiglie, delle ambasciate, del parlamento, dei mezzi d’informazione.
E dunque? Che venne fuori in quelle ore? Io non credo affatto che nel loro insieme le forze dell’ordine italiane considerino carta straccia i princìpi di una Costituzione democratica alla quale giurano fedeltà. Sono anzi convinto che le nostre forze dell’ordine, al di là delle idee che possono coltivare, abbiano ben presente la qualità della loro funzione di garanzia istituzionale. A volte più dello stesso potere politico. Se così non fosse, non si capirebbe neanche il largo tributo di sangue che esse offrono ogni anno alla nostra convivenza civile. A Genova dunque non venne fuori la loro "vera" natura. A Genova esplose una vena di pazzia, come può accadere alla persona più normale. Ma le ragioni di quell’esplosione devono essere ricostruite. E forse la commissione d’inchiesta parlamentare più volte invocata avrebbe aiutato a farlo. Che messaggi vennero dati, che clima venne montato intorno all’evento, che rappresentazione venne data del "nemico", che direttive vennero impartite, al di là dell’autentico disastro logistico-organizzativo che si consumò nella gestione dell’ordine pubblico per le strade della città?
Ed ecco che si arriva dunque diritti alla presunzione di impunità. Che forse ebbe un suo appiglio nella gestione degli scontri di Napoli della primavera precedente. Ma che certo si espresse esponenzialmente in luglio; nel fuoco della prima grande prova affrontata davanti al mondo dal nuovo governo Berlusconi sul terreno dell’ordine pubblico. Perché solo la certezza dell’impunità può portare a violare sistematicamente le principali garanzie di decine e decine di arrestati. Solo quella certezza può indurre a commettere violenze fisiche e psichiche diffuse sapendo che ci sono i ministri in città. E solo una campagna ideologica forsennata può portare a vedere nelle persone costrette in carcere dei nemici privi di dignità umana. Solo una campagna ideologica forsennata può portare a compiere verso semplici manifestanti comportamenti di cui le nostre forze dell’ordine, sottoposte a ben altre tensioni, non si erano macchiate – si badi – neanche ai tempi dell’Autonomia armata e del terrorismo.
Bolzaneto, la Diaz, quella settimana, ci dicono che molto c’è ancora da fare nella formazione dei quadri delle forze dell’ordine, per renderli assolutamente neutrali – come debbono essere – alle suggestioni ideologiche di qualunque tipo e colore. Ci dicono che i fantasmi di una vecchia cultura repressiva (che mai giunse a tanto, comunque) sono purtroppo sempre in agguato. Ci dicono che quando questi fatti accadono bisogna saperli vedere e giudicare subito, anche se si debbano contemporaneamente deprecare, come è giusto, le violenze di una minoranza facinorosa di manifestanti. Il fatto è che per troppo tempo si è lasciata sola Genova a chiedere giustizia per le offese inflitte alla sua cultura civile. E per troppo tempo una società e un parlamento ipergarantisti hanno taciuto o balbettato di fronte alla più grave violazione delle garanzie e dei diritti umani vissuta dalla nostra Repubblica.
Nando
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