Padania e Sicilia. CANNOLI E CANNONI

(l’Unità, 8 aprile 2008) – Oplà. Il salto di qualità è arrivato. Dai cannoli ai cannoni. La santa alleanza tra i lumbard di Umberto Bossi e il Lombardo siciliano si avvia a scatenare, con la benedizione del fratello di sangue Silvio Berlusconi, un nuovo disastro nella già lacerata società italiana. Ora l’uso dei fucili e dei cannoni, oltre che dalla Padania,  viene minacciato anche dalla Sicilia, dove purtroppo le armi (non a salve) contro lo Stato italiano sono già state abbondantemente usate. E dove Cosa Nostra ha coltivato con assiduo interesse, dopo le stragi del ’92 e del ’93, progetti secessionisti, inseguendo una "Sicilia libera" dalla presenza dello Stato di diritto. A questo siamo arrivati. E non senza colpe di chi si professerà innocente.

Perché immaginiamo che un qualsiasi parlamentare dell’estrema sinistra, non si dice un leader, ma un peone delle bandiere rosse, pratichi il linguaggio di Umberto Bossi e dei suoi colonnelli padani, e ora del loro alleato siciliano. Vedremmo subito televisioni di stato e private, e stampa padronale e indipendente (per quel che si può) andare all’assalto del malcapitato. E del suo partito. E della sinistra, anzi, dell’intero centrosinistra. E lanciare condanne e anatemi. E pretendere, ancor più, condanne e anatemi e abiure altrui. Sentiremmo accusare la sinistra di ogni abominio. L’intolleranza che trasforma gli avversari in nemici da abbattere. La furia da ghigliottina. I gulag. La contiguità con il terrorismo, anzi, i mandanti del terrorismo. E se poi il centrosinistra prendesse, come certo prenderebbe, le distanze da quel linguaggio, anche in tal caso non la passerebbe liscia. Le condanne e gli anatemi sarebbero sempre tardivi, sintomo di una cattiva coscienza. Le parole del peone delle bandiere rosse sarebbero sempre il frutto del "clima d’odio" seminato a piene mani contro la destra e contro il suo leader. Con i crimini televisivi. O con la strategia della menzogna. Eccetera. Eccetera.

Ecco, forse le prime pari opportunità in una civiltà politica dovrebbero consistere nel ritenere possibili e legittime, o intollerabili e illegittime, le stesse cose se dette o fatte da una parte politica o da quella opposta. Da noi, per una sorta di resa culturale dell’establishment nazionale, si è invece diffusa l’usanza di considerare diversamente gravi le parole, le offese, le minacce, se profferite dalla sinistra o dalla destra. E in particolare di concedere una specialissima immunità alla Lega di Umberto Bossi, della quale ora vorrebbe godere, per una sorta di proprietà transitiva, anche la Lega di Lombardo, sua fresca alleata. Entrambe padrone – ripetiamo, con la benedizione di Silvio Berlusconi – di impiegare un linguaggio che nessuna forza democratica, progressista o conservatrice, impiega al mondo. "Queste elezioni potrebbero finire con la necessità di imbracciare il fucile e di andare a prendere queste carogne". "I comunisti sono canaglie antidemocratiche. La sinistra è fatta da canaglie, luride canaglie". "Delinquenti, state molto attenti, che i padani non hanno paura di voi, vi pigliamo per il collo. Carogne tornate nella fogna, là è il vostro posto". Con crescendo rossiniano: "Allora stavolta pigliamo il fucile, facciamo vedere noi, decine di milioni di lombardi e veneti sono pronti a battersi per la loro libertà contro la merda che voi rappresentate". Questo l’altro ieri. Ieri, come se non bastasse, ha varcato il Rubicone l’alleato siciliano. Il vassoio di cannoli degli amici degli amici è già nello sgabuzzino. E ora si parla di fucili. Da nord e da sud.

Qualcuno pensa che questo linguaggio farà perdere voti al centrodestra? Che per sua causa qualche elettore inorridito possa decidere non si dice di passare dall’altra parte ma di negare il proprio voto al Pdl? Forse, ma non c’è da contarci. Perché il guaio è proprio questo. Che ormai, negli anni, il linguaggio della Lega ha trovato piena cittadinanza nella nostra civiltà politica. Fucili, pallottole, raddrizzare la schiena al magistrato poliomelitico, merde, luride canaglie, mettitela nel culo (la bandiera tricolore), faremo pisciare i maiali (sui terreni delle moschee), Italia bastarda. Ed è con questo linguaggio alle spalle e al suo interno che la destra continua a chiedere credenziali di cultura di governo al centrosinistra. I discorsi leghisti? Fanfaronate, metafore, espressioni paradossali. Sappiamo com’è fatto Bossi, lui parla sempre così. Ora, per non essere da meno, ha deciso di parlare così anche l’altro secessionista.

E’ difficile dire se da queste parole potranno scaturire comportamenti violenti (bisogna prendere atto che con la Lega questo non è generalmente avvenuto). Certo è  che il rischio di un impazzimento del sistema e del costume politico è concretissimo. E che questo linguaggio, che trasuda una specifica ideologia, può produrre una miscela micidiale combinandosi con l’antiparlamentarismo galoppante  e con il senso comune da tivù-trash (anche politica) che si sta divorando pezzi di elettorato senza che ce ne rendiamo conto. Con effetti imprevedibili, quanto meno, sul senso dello Stato e sullo spirito civico e di solidarietà nazionale.

Ecco come finisce a spiegarci da anni amabilmente che "lui parla sempre così". No. Lui, loro, non possono parlare così. Perché è consentito prediligere il linguaggio sobrio da Banca d’Italia o quello colorito dell’aia politica. Ma chi, già prima di sapere se andrà al governo, sa di rappresentare comunque le istituzioni non ha facoltà di usare "quel" linguaggio. A meno che non gli si riconosca uno status di minorità intellettuale, quasi da buffone di corte al quale tutto, come nelle migliori tradizioni, è consentito di dire. Purtroppo non si tratta di buffoni. Si tratta di politica, si tratta di voti veri. Di cui la destra, come si dimostrò nel ’96, non può fare a meno. E con il cui linguaggio lo stesso Berlusconi mastica da sempre molte affinità. Due buone ragioni per dichiararsi, appunto, fratello di sangue di Bossi e di Lombardo .

Oggi, davanti a questo salto di qualità, nessuno può più stringersi ammicante nelle spalle. Anzi, sarebbe opportuno, quanto mai opportuno, che anche i nostri intellettuali equidistanti provassero una volta almeno l’impeto irresistibile di intervenire. Per dire con chiarezza che la democrazia non sarà il galateo degli ufficiali regi, ma che in una democrazia qualche regola alla lotta politica bisogna pur darla. E che le armi, quelle, le invocano solo i sovversivi.

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