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Mandalà e parla qua. Il senso della misura
Mezzanotte tra il 13 e il 14 ascoltando Ludovico Einaudi. Mi ronza nella testa un paragone. Travaglio come Gherardo Colombo. Ricordate come venne trattato Gherardo Colombo quando, credo che fosse il ’97, disse che nella Bicamerale tirava un’aria di ricatto? Si alzarono tutti in coro a redarguirlo, solennemente e severamente (con due o tre eccezioni, quorum ego). Anche da sinistra. Anzi ci furono alcuni "garantisti" che evocarono la Siberia, i manicomi. Meno male che non erano giustizialisti. Colombo, in realtà, aveva solo detto che il Re era nudo. Sembra di rivedere lo stesso film. Travaglio ricorda fatti certo spiacevoli e imbarazzanti della biografia del nuovo presidente del Senato. Ed ecco che i maggiorenti dell’opposizione o del paese vincitore gli lanciano gli attacchi più surreali: imboscata, trappola. Con le scuse della Rai alla nuova seconda carica della Repubblica. Ma perché non si riesce ad avere mai la misura? Io capisco la situazione, siamo uomini di mondo, come avrebbe detto (sempre lui) il grande Totò. Se si guida l’opposizione al Senato si può ritenere necessario mantenere buoni rapporti con il presidente del Senato. Non l’ha prescritto il medico, ma si può desiderare. Ma non si potrebbe dire, che so, "Travaglio ha ricordato fatti di cronaca già noti, ma noi auspichiamo, anzi, confidiamo che il senatore Schifani sappia onorare il suo incarico e dissolvere con i suoi comportamenti attuali i dubbi posti da quelli passati"? Perché per garantire la buona diplomazia bisogna offendere la verità e praticare la censura? Mistero. O questioni di cultura istituzionale.
Altre considerazioni. Ho ripreso i contatti con l’università, Scienze Politiche a Milano in attesa di ottenere una risposta positiva per Palermo. Ho capito che quello (il molto) che ho imparato in quattordici anni di vita politico-istituzionale è praticamente inutile per l’università (di più: per Scienze politiche…). Ci sono i corsi di base, e lì va insegnato l’abicì. E poi ci sono quelli specialistici, ma loro devono servire a dare una professione. Dunque, per capirsi, non è molto utile fare corsi sull’economia illegale. Capisco e mi adeguo. In fondo occorre una preparazione standard. Ma le università non dovrebbero anche valorizzare le qualità specifiche dei loro docenti? Non si dice forse che la ragione per cui si può esercitare la professione mentre si insegna è che così l’università resta aperta alle esperienze della società esterna? Boh. Io in ogni caso ho deciso che offrirò un piccolo corso di specializzazione agli studenti proprio sull’economia criminale. A parte. Non avranno tanti crediti, ma credo che saranno interessati lo stesso.
Infine: ottime vendite per Melampo alla fiera del libro di Torino. Mai bene come quest’anno. Molta attenzione del pubblico anche per il catalogo. Vi segnalo, oltre il successo del dibattito sui “I boss di Chinatown”, la curiosità suscitata dal delizioso esordio di Claudia Mauri “Come diventare gay in cinque settimane”, uscito pochi giorni fa. L’autrice, giovane giornalista gay, ha tirato fuori un libro intelligente, spiritoso, raffinato. Originale e godibilissimo.
Totalmente diverso (e non di Melampo) il volumetto “9 maggio ‘78”, sottotitolo “il giorno che assassinarono Aldo Moro e Peppino Impastato”. E’ il crudo diario di quella giornata, e solo di quella. Lo ha scritto (per Zona) Carmelo Pecora, ispettore di polizia che quel 9 maggio aveva 19 anni e, da poliziotto ragazzino, era in servizio sulla volante che scoprì il cadavere di Moro. Asciutto ed emozionante.
Domani vado vicino Bergamo e poi a Palermo. A proposito: alla fiera del libro c’era il pienone per la presentazione del libro su Pio La Torre, l’uomo (lo sapevate?) che durante la partita andò a riprendersi il figlio Filippo quando gli dissero che (in assoluta innocenza) stava giocando a pallone su un campo di proprietà di un mafioso. Altro che stare in società insieme con Mandalà.
Nando
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